Dopo Kabul. Gli Usa da gendarme armato a controllore dello spazio online

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Ci sono date, impresse nel marmo della memoria collettiva, che hanno segnato la Storia di alcuni paesi, determinandone il futuro. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti d’America sono intervenuti in 5 guerre dichiarate, un’unica sola volta appoggiati dall’ONU, in Corea, e in altre due coinvolgendo la NATO, in Iraq e Afghanistan.

Una lunga scia di sangue, soprattutto versato dai civili, e sempre con esiti poco onorevoli per Washington, tranne il “pareggio” armato coreano e il “no contest” cubano.

E così gli USA si sono guadagnati in questi 70 anni l‘appellativo non certo onorifico di “gendarme del mondo”, esemplificativo di un Imperialismo armato, mascherato dall’imperativo politico e morale di “esportare la democrazia” laddove questo sistema fosse ritenuto in pericolo o non fosse mai esistito, in seguito alla fine del colonialismo occidentale.

“Siamo tutti americani”, titolavano 20 anni fa alcuni giornali italiani, all’indomani degli attentati alle Torri gemelle di New York. Milioni di persone per solidarietà sfilarono per le strade di mezzo mondo. Lo siamo ancora 20 anni dopo? Soprattutto dopo la fuga disonorevole da Kabul ed aver riconsegnato l‘Afghanistan ai feroci integralisti, i terroristi talebani?

Il mondo intero celebra in questi giorni i 20 anni degli attentati alle Torri gemelle di New York, al Pentagono e al dirottamento dell’aereo fatto precipitare a Shanksville. Per i governanti americani e stata la data storica dell’inizio della anomala “Terza guerra mondiale” contro il nemico jihadista, contro il “mostro tentacolare” impersonato dai gruppi dell’integralismo islamico, guidati da Osama Bin Laden e Saddam Hussein. Come si fosse dentro la trama di un soggetto cinematografico tradizionale hollywoodiano, del genere spionistico o poliziesco.

In realtà, 20 anni dopo, il 31 agosto ha segnato la “fine storica” degli Usa come gendarme armato del mondo, proprio a causa della fuga disonorevole da Kabul,

Ma ci sono due “focolai caldi” che non sono stati ancora spenti. Oltre al quadrante cinese con la presenza di un forte contingente, armato anche di bombe nucleari, lungo la linea di deterrenza tra le due Coree, esiste sempre l’embargo e il controllo asfissiante contro Cuba, compresa la presenza armata nell‘isola con il “Supercarcere della vergogna” di Guantanamo.

Non si era ancora spenta l’eco della Seconda guerra mondiale, che gli USA convinsero mezzo mondo a partecipare alla Guerra di Corea (25 giugno 1950 – 27 luglio 1953) con il sostegno dell’ONU, contro i comunisti cinesi di Mao e quelli nordcoreani di Kim il Sung.

Il contingente americano contava 1.319.000 militari. Di questi perirono oltre 54 mila uomini, insieme a 415 mila sudcoreani, più 4 mila forze raccolte sotto l‘egida dell’ONU. Sul versante opposto si contarono 360 mila cinesi morti tra i regolari e gli “irregolari partigiani”, mentre i nordcoreani persero tra i 200 e i 400 mila soldati. Ma le vittime civili furono notevoli: 2 milioni, dei quali 500 mila al Sud.

Non passò molto tempo ed ecco che gli Stati Uniti, ossessionati dal pericolo crescente del comunismo invadente nell‘Estremo Oriente, si impelagarono nella Guerra del Vietnam (1 novembre 1955 – 30 aprile 1975), incuranti del recente disastro militare della Francia neocolonialista.

Furono 3 milioni i militari americani che si alternarono in 20 anni nell’ infermo del Vietnam, con una punta massima di presenza continua di 550.000 effettivi. Vi morirono 60.000 uomini e costò agli USA 200 miliardi di dollari di allora. Furono scaricate 14 milioni di tonnellate di bombe (tre volte di più che in tutta la seconda guerra mondiale).

330 mila militari morti tra le fila dei Sud-Vietnamiti. 1milione e 100mila tra i Nord-Vietnamiti e i Vietcong. Le vittime tra i civili vietnamiti furono 2 milioni tra Nord e Sud, 700.000 tra i cambogiani e 50.000 tra i laotiani.

Venendo ai giorni nostri, in seguito agli Attentati dell’11 settembre 2001(Torri Gemelle del World Trade Center a New York, Shanksville in Pennsylvania, Pentagono nella Contea di Arlington), che causarono 2.977 civili uccisi e 6 mila feriti, gli Stati Uniti, decisero insieme alla NATO di invadere l‘Afghanistan, in mano ai fondamentalisti talebani, per cercare tra le caverne e i villaggi sperduti il “genio del male” Osama Bin Laden. Lo trovarono e lo uccisero, invece, dieci anni dopo in un fortificato compound nella città pakistana di Abbottabad, dove sembra si fosse nascosto da sempre, grazie alle coperture dei servizi segreti pakistani (ritenuti però “alleati” dal Pentagono e dalla CIA). Ma la guerra afghana continuò per altri dieci anni, fino al 15 agosto scorso e alla ritirata disastrosa entro il 31 di quel mese.

C’erano prima i talebani, che erano stati finanziati ed armati dagli stessi americani contro le forze di occupazione sovietiche, e ci sono al potere ancor più di prima i talebani insieme agli sgozzatori e kamikaze di Al-Qaida.

In questi inutili 20 anni belligeranti, sul terreno gli Stati Uniti hanno lasciato 2.400 morti, la Nato più di mille (compresi i 53 italiani) le Forze di sicurezza afgane 6.500 morti, l’Alleanza del Nord 200 morti. Talebani e insorti morti o catturati: 68.000. Tra i civili le valutazioni oscillano tra i 140.000 e i 340.000.

Solo 8 anni invece durò l’altra guerra di “civiltà” contro il “genio del male” Saddam Hussein, accusato di avere un arsenale ben nascosto con armi di distruzione di massa (Guerra in Iraq: 20 marzo 2003 – 15 dicembre 2011). Quello delle armi segrete fu un bluff addirittura difeso formalmente davanti all‘Assemblea generale dell‘ONU.

Ucciso il dittatore Saddam, il paese si è in parte disgregato, ripotando in auge l’eterno conflitto armato interreligioso tra sunniti e sciiti e divenendo la base operativa dell’ISIS. 4.400 morti tra le forze regolari americane e 3.800 tra i Contractors. 45 mila uccisi nell’esercito di Saddam e 55 mila tra i cosiddetti insorti. Secondo varie organizzazioni indipendenti tra i civili ci furono circa 1 milione e 400 mila morti.

Insomma, un Gendarme che ha fatto più danni nei vari scacchieri della geopolitica, senza esportare democrazia e diritti civili.

In realtà l‘unico fronte bellico rimasto aperto, seppure in termini anomali e sofisticati, è quello cubano, vicino alla Florida. Sono passati 60 anni dalla disastrosa tentata invasione della Baia dei Porci (17 – 19 aprile 1961), e gli USA non mollano la presa, pur cambiando il colore delle amministrazioni presidenziali. Il vero ed unico nemico ancora in guerra sembrerebbe quindi la “comunista” Cuba!!!

Ma alla base della scelta “isolazionista” di preoccuparsi per prima degli interessi interni degli Stati Uniti (slogan vincente per Trump e oggi portato avanti da Biden) ci sono non tanto la presa di coscienza che sia finita l‘era del “protettorato imperialista”, quanto i preponderanti interessi dei veri destini economici e sociali degli americani. Il nuovo “Complesso militare-industriale” che proprio 60 anni fa accusò nel suo discorso di commiato del 17 gennaio 1961 il presidente Dwight Eisenhower, oggi ha aggiunto un nuovo protagonista: i padroni del WEB, gli “Over the Top”, le immense Corporation che controllano internet e tutti i sistemi più sofisticati di interconnessione comunicativa che detengono il monopolio dei software e gestiscono le banche dei Metadati di miliardi e miliardi di consumatori.

Si tratta di una decina di società, che insieme muovono un giro di profitti annui di alcune migliaia di miliardi di dollari, che stanno facendo da 20 anni la fortuna della Borsa di Wall Street e che, soprattutto, con i loro finanziamenti determinano le fortune dei candidati alla Presidenza degli Stati Uniti. Sono le stesse che finanziano con società controllate la “guerra nello spazio”, che in gran segreto si sta compiendo con oltre 4 mila satelliti in orbita, dei quali oltre la metà appunto americani, e che come scopi “trasparenti” avrebbero finalità scientifiche e di telecomunicazioni.

Finita l’era eroica del controllo militare, troppo dispendioso finanziariamente e nel numero di vite umane e, soprattutto, ormai inviso a tutta l’opinione pubblica mondiale, gli USA stanno cambiando uniforme, indossando i camici dei sofisticati strumenti di controllo dell‘online.

Insomma, “The business is business” e non fa distinzione tra religioni, sistemi politici e rapporti geopolitici.


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