Nicolino Grande Aracri si pentirà anche per le minacce ai giornalisti?

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L’ hanno definito il nuovo Tommaso Buscetta, ma Nicolino Grande Aracri, capo dell’omonimo clan, è molto di più. Buscetta quando si pentì era da tempo fuori dai giochi e dagli affari di “Cosa nostra”. La famiglia decimata dalle vendette trasversali, costretto a nascondersi in Brasile perché sulla sua testa pendeva una condanna a morte decretata dalla cosca vincente, quella di Totò Riina, oramai ridotto ad un relitto di mafioso decise a quel punto di pentirsi. Trovò sul suo percorso di vita ed in quel contesto temporale un giudice che si chiamava Giovanni Falcone. Ricostruì l’intera struttura delle varie commissioni e dei tanti mandamenti di “Cosa nostra”. E quel tipo d’organizzazione ne determinò la fine, grazie anche alle intuizioni di Falcone e Borsellino. Molti mafiosi decisero di collaborare e per i capi più intransigenti arrivarono le condanne nei vari gradi di giudizio dei maxiprocessi.

Per la ‘ndrangheta la storia è differente. A partire dalla metà degli anni 80 in concomitanza con lo smantellamento delle strutture di “Cosa nostra”, si è avuta l’ascesa della criminalità calabrese, difficile da scardinare perché era ed è a carattere familiare. Il clan si sovrappone al proprio nucleo familiare e per questo quasi impossibile aprire una falla con il pentimento di uno dei componenti. E’ difficile accusare un proprio familiare.

Se Buscetta era il “boss dei due mondi”, a Nicolino Grande Aracri non si può attribuire una simile definizione, perché la sua forza è quella del suo clan familiare. In questo modo è riuscito ad imporsi in tutti i continenti. L’ascesa di “don Nicola” e della sua famiglia inizia nella seconda metà degli anni 80 a Cutro in provincia di Crotone. Ma già dall’inizio degli anni 90 opera in Emilia Romagna, a Reggio Emilia e provincia. Con il traffico di stupefacenti, gestione di sale slot, movimento terra e produzione di calcestruzzo, cresce la cosca, in particolare nel primo decennio del nuovo millennio, dopo aver fatto fuori a colpi di kalashnikov i principali rivali. Ma il boss comprende che per crescere ancora c’è bisogno di un ulteriore salto qualitativo, arrivare ai colletti bianchi della massoneria e della politica, fino a sfiorare il Vaticano. Fatti emersi principalmente nelle inchieste Aemilia, Kyterion e Pesce.

Il pentimento del boss Grande Aracri per tale ragione è diverso da quello di Buscetta. Quest’ultimo non arrivò mai a svelare i rapporti con il terzo livello, ciò che oggi viene definito il “mondo di sopra”, mentre “don Nicola” potrebbe mettere in luce trame e rapporti con quel mondo “superiore” che ha dato per anni coperture ai clan. E bisognerà capire il perché abbia deciso di pentirsi. Pare che il boss abbia chiesto di parlare per primo con il magistrato Nicola Gratteri, capo della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, il procuratore che con le sue inchieste cerca di capire i contatti tra le “menti raffinatissime” e le “locali” di ‘ndrangheta, mondo di sopra, di sotto e di mezzo, e pare che la prima domanda del procuratore al boss sia stata proprio perché abbia deciso di parlare. Ci vorrà tanta pazienza per capire se il pentimento sia sincero oppure frutto di tecnica difensiva; se Nicolino Grande Aracri farà capire chi c’era sopra di lui, oppure se punta solo ad avere uno sconto ai diversi ergastoli già comminati in alcuni processi.

Ed infine sapere anche se il boss sia pentito delle tante minacce di morte rivolte ai giornalisti, quando svolgevano inchieste sui suoi rapporti e quelli dei familiari con amministratori locali e politici. Pentito per aver stravolto la vita di tanti cronisti e dei loro familiari, costretti a vivere dopo quelle minacce sotto scorta.


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