Assistenza domiciliare e morti per Covid

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Per qualche politico siciliano, di destra, i morti sono qualcosa che può “essere spalmato” su varie giornate per far riaprire attività economiche che a loro volta provocheranno diffusione del virus e altri morti. Per molti telegiornali, alcuni della Rai, tutti quelli di Mediaset, le vittime giornaliere di Covid non fanno più notizie. Per il giornalismo serio il numero spropositato di morti per Covid in Italia è un tema da indagare con politici, scienziati e medici, che quasi all’unanimità indicano nella alta aspettativa di vita degli italiani, nella loro vecchiaia piena di malanni, il motivo che sta dietro i 115.000 morti per il virus ad oggi.

Un popolo di anziani malandati in salute. Forse lo sapevamo, forse no. Ma qualcuno lo sa bene e lo denuncia da tempo e finalmente, intervistato da Fabio Fazio, il ministro Speranza ha annunciato una cosa di cui si è sempre parlato molto superficialmente: ha detto che il suo principale impegno con i soldi del Recovery Plan sarà il potenziamento dell’assistenza domiciliare agli anziani, ai malati, ai disabili! Non ha avuto il coraggio di dire quello che qualunque medico di base, in qualunque territorio italiano, dice da un anno: si muore troppo di Covid perché non possiamo assistere bene a casa le persone a rischio, gli anziani e quelli che l’Italia ha scoperto adesso, i “fragili”.

I primi al mondo per la qualità dell’assistenza domiciliare sono gli svedesi, un paese che ha applicato poche restrizioni e ha pochi morti per il Covid, pur con numerosi contagi, seguono la Finlandia, la Germania, la Francia, noi negli ultimi posti della classifica.

L’aver abbattuto la medicina territoriale e quella domiciliare con i continui tagli di spesa per la sanità pubblica ha determinato un livello di morbilità nella popolazione anziana e in quella cronicamente malata che può consentire anche di vivere a lungo ma vivere male, con malattie anche gravi, profondamente invalidanti, di cui non si interessa nessuno. Quante volte sentiamo dire…sarebbe bello arrivare a 90 anni, già ma dipende da come ci arrivi…lo sappiamo anche noi che questo era il problema principale anche prima del Covid, ma il virus, come una guerra o un terremoto, ha fatto esplodere le carenze e le contraddizioni.

Il ministro ha detto che con il Recovery vuole superare il tetto del 10% di spesa per l’assistenza domiciliare: un traguardo che migliorerebbe più di ogni altro intervento la salute della popolazione. Infatti, per l’assistenza agli anziani spendiamo meno del resto d’Europa e ai servizi domiciliari destiniamo una quota assai più modesta dei fondi disponibili. Da una parte, la spesa pubblica è del 20% circa inferiore alla media del continente . dall’altra, solo il 17,7% di questo già contenuto budget arriva alla domiciliarità (rispetto al 52,3% dell’indennità di accompagnamento e al 30% delle strutture residenziali) (Ragioneria Generale dello Stato, 2020). Perlopiù, le analisi sulla domiciliarità in Italia si concentrano sugli stanziamenti e, di conseguenza, veicolano il seguente messaggio: “Se ci fossero maggiori mezzi si potrebbe assicurare ai cittadini l’assistenza a casa della quale hanno bisogno”. Ma le risorse, invece, rappresentano solo metà del problema. La tragedia del Covid-19 ha acceso una nuova luce sul welfare territoriale, dove serve un tipo di assistenza continua, integrata e non “a richiesta” o solo per programmazione di terapie.

Il più diffuso servizio domiciliare, l’Assistenza domiciliare integrata (Adi), di titolarità delle Asl, offre in prevalenza interventi di natura infermieristico-medica, intesi come singole prestazioni che rispondono a determinate necessità sanitarie, invia supporti protesici ma non attua una presa in carico legata alla condizione di non autosufficienza. È, in altre parole, guidato dalla logica della cura clinico-ospedaliera (cure), cioè la risposta a singole patologie, e non da quella del sostegno alla non autosufficienza (care), fondato su uno sguardo complessivo della condizione della persona e dei suoi molteplici fattori di fragilità, che – dunque – conduce (o dovrebbe condurre) a risposte ben più ampie e articolate. Il disagio socio-economico è poi il criterio per ricevere i servizi domiciliari comunali. Questi ultimi costituiscono l’altro intervento pubblico erogato a casa degli anziani ma hanno prevalentemente un ruolo residuale e finalizzato a dare un contributo per una specifica terapia medica.

La descrizione della complessità del problema sarebbe troppo lunga, ma quel che è chiaro è che se l’assistenza a domicilio funzionasse i casi gravi di Covid sarebbero visti nei primissimi giorni di sintomi e se ci fosse un protocollo vero da applicare verrebbe attuato e solo in caso di resistenza alla terapia, non oltre i 7 giorni, si porterebbe il paziente in ospedale. La drammaticità di questa situazione è riassunta nella “vigile attesa” ancora prevista nei documenti ufficiali del ministero della salute. Ma i medici si sono ribellati e l’Istituto Mario Negri ha lanciato un nuovo protocollo che non prevede nessuna attesa ma attacco immediato con aspirina e antifiammatori orali, poi se serve cortisone e eparina e se tutto fallisce ospedalizzazione. Nessuno sa quanti anziani abbandonati nelle loro case siano morti di Covid non curato in casa nel 2020 e credo non si sappia tutto neanche oggi.

Se l’assistenza domiciliare fosse, solo per fare un esempio virtuoso e molto importante, sul modello di quello che attuano l’Antea  e il Vidas per i malati oncologici, i decessi sarebbero stati ampiamente ridotti anche per Covid. Vuol dire che ogni giorno un infermiere addestrato viene a domicilio, controlla i parametri e le condizioni del malato, chiama uno dei medici a disposizione se necessario o aspetta che il medico faccia le sue due visite settimanali, fornisce i supporti, i telefoni sempre reperibili e addestra i familiari che si occupano del paziente in casa. Sono fondazioni basate sul volontariato, ma riconosciute dalle regioni. La conclusione è semplice: dunque si può fare!

Il ministro Speranza può far vincere ai cittadini italiani una partita storica se avrà la capacità di realizzare un’assistenza domiciliare basata su questi tipi di modello: in pratica si tratterebbe di avere uno sguardo ampio sulla situazione dell’anziano e dei suoi congiunti; diventare un reale punto di riferimento delle famiglie;  costruire progetti di assistenza personalizzati in grado di fornire risposte diverse risposte ad ogni malato/famiglia. Il settimo rapporto 2020-2021 sull’assistenza agli anziani e ai domiciliarizzati spiega tutto in modo semplice e chiaro, perché la fondazione Cenci Gallicani ha parlato con le famiglie, ha dialogato con chi sta male, ha raccolto numeri veri e fotografato richieste concrete. Ancora una volta, quindi, si può. Si potrebbe.

 

 


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