Turchia, nuovo schiaffo all’Europa: Kavala e Demirtaş restano in carcere

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Ancora una volta la Turchia sbatte la porta in faccia a una timida Europa che chiede, ma forse non con la determinazione necessaria, di rilasciare il filantropo e difensore dei diritti umani Osman Kavala e l’ex presidente del Partito democratico dei popoli, Selahattin Demirtaş, ottemperando alla richiesta della Corte europea dei diritti umani che ne aveva chiesto l’immediata scarcerazione.
Le sollecitazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sono cadute nel vuoto.
Continua così una vera e propria persecuzione nei confronti di due personalità conosciute e stimate a livello internazionale che hanno la sola colpa di essersi contrapposto al presidente Recep Tayyip Erdogan.
In particolare Osman Kavala, in carcere da 1229 è finito nel mirino del presidente
Erdogan solo per aver sostenuto i giovani che a Gesù Park pretestavano per difendere l’ultimo spazio verde del centro di Istanbul i cui alberi erano  destinati a essere abbattuti per la costruzione di un centro commerciale.
Kavala era diventato un simbolo per la
società civile impegnata.
I giudici lo scorso 5 febbraio hanno prorogato  la sua detenzione preventiva fino al 21 maggio, quando si terrà la prossima udienza del processo in cui è imputato di spionaggio e tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale in relazione al fallito colpo di
Stato del 15 luglio del 2016.
Accuse che l’imprenditore e filantropo ha sempre respinto, denunciando nei suoi confronti una persecuzione
giudiziaria.
“Il mio diritto alla libertà è stato usurpato” aveva dichiarato in un video-collegamento durante l’ultima udienza alla presenza, in aula, di diversi diplomatici ed esponenti dell’opposizione.
Da anni in prima linea con la sua fondazione Anadolu Kultur nella difesa dei diritti delle
minoranze, dagli armeni ai curdi, Kavala è stato più volte attaccato da Erdogan, evocando legami di quest’ultimo
con l’Open Society Foundation di George Soros e intenzioni sovversive per danneggiare il governo turco.
Neanche la moglie dell’attivista è stata risparmiata dagli stato del presidente turco che ha definito Ayse Bugra “una provocatrice che aizza gli studenti all’Università del
Bosforo”.
Anche per questo l’ong fondata da
Kavala rischia di essere chiusa.
iIl ministero del Commercio di
Ankara ha avviato una  procedura per revocare la licenza ad operare alla fondazione sulla base di un presunto vizio di forma,
secondo cui la struttura “agisce come associazione anche se è
registrata come impresa”.
E la prosecuzione continua. Come per Demirtaş, avvocato, attivista per i diritti umani, fondatore di Amnesty international a Diyarbakr e parlamentare del partito filocurdo di cui era presidente, in carcere da cinque anni.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso due sentenze a favore del suo rilascio stabilendo che era stato arrestato per ragioni politiche e giudicato arbitrariamente. Ma il governo turco continua a rifiutarsi di liberarlo, tenendolo in prigione senza processo. Il 7 gennaio un tribunale penale turco ha inoltre disposto l’avvio di un altro procedimento nei suoi confronti e di altre 107 persone, di cui 38, tra cui Demirtaş, rischiano l’ergastolo.

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