Fatti non foste a viver come bruti digitali

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Si rincorrono le citazioni di Dante, nell’annata in cui ricorrono 700 anni dalla sua scomparsa e in cui le citazioni si contano a tanto al chilo. Per rimanere in tema, dovremmo dire che tra le frasi eterne del sommo poeta si può riutilizzare nell’età digitale la famosa fatti non foste a viver come bruti. Digitali. Perché il rischio c’è e vive in mezzo a noi.

Lo scorso 28 gennaio se n’è parlato nell’annuale convegno tenuto dall’Autorità garante dei dati personali nella giornata europea per la protezione dei dati, dedicato ai diritti delle persone nell’era delle neuroscienze.

Attraverso la relazione del presidente Pasquale Stanzione e diversi interventi (Paolo Benanti, Marcello Ienca, Giacomo Marramao, Oreste Pollicino Pietro Perlingieri) coordinati dalla giornalista della Rai Barbara Carfagna si sono toccati proprio tali delicatissimi argomenti.

Vale la pena riparlarne ora, mentre incombono i lavori per il Recovery Plan, per la (almeno apparente) assenza dal dibattito di un simile approccio. Vale a dire il che fare davanti all’incombere di tecniche che travalicano di gran lunga l’universo conosciuto e normato dalle tradizionali culture giuridiche.

Se robot e intelligenza artificiale permettono di entrare nel supremo organo degli esseri umani  -il cervello- manipolandone percezioni e memoria, la questione dei neurodiritti acquista un valore inedito. Siamo ben al di là della pur importante tutela della sfera privata e della sua riservatezza. Il riconoscimento facciale attraverso le migliaia di telecamere installate, la sorveglianza della nostra attività riconosciuta mediante i sensori che leggono il cosiddetto Internet delle cose, i dispositivi facilmente collegabili ai diversi device appartengono al periodo precedente.

Entra in scena prepotentemente la tecnologia applicata alla mente. Autori rinomati come Philip K.Dick (ricordate The Minority Report, divenuto anche un successo cinematografico con Steven Spielberg e Tom Cruise?) avevano predetto ciò che sarebbe accaduto, forse per la capacità dei migliori scrittori di cogliere in anticipo ciò che accade nei laboratori di ricerca. Ma non è più fantascienza.

Ora, di fronte a ciò che si offre all’umanità nell’ecosistema digitale, la discussione pare alquanto sfasata. Anzi. Ad essere schietti, la riflessione nell’universo dei credenti – vedi, ad esempio, la bella relazione al citato convegno di Paolo Benanti, docente della Pontificia università gregoriana di Roma- sembra di maggior interesse rispetto a quella troppo ripetitiva del mondo laico, a parte eccezioni come Giacomo Marramao. Già: il diritto positivo non basta e servono inventiva e creatività. Ci si confronta, infatti, non solo e non tanto con la linea retta che coniuga lecito e illecito, quanto con quelli che Oreste Pollicino e Marcello Ienca (docente di diritto l’uno, ricercatore presso il Politecnico di Zurigo l’altro) chiamano l’habeas data e l’habeas mentem, l’attualizzazione di quell’habeas corpus che fu il fondamento dello stato di diritto.

Ma servono nuove leggi? C’è un confronto in atto, in cui si sostiene pure la tesi alquanto azzardata di reinterpretare le discipline esistenti. C’è da dubitarne. Di fronte ad una vera e propria lotta di egemonia tra macchine ed esseri viventi, il  leitmotiv di questo secolo, è indispensabile costruire un nuovo umanesimo digitale. E va superato una volta per tutte il liberismo tecnologico che ha segnato gli anni passati.

Il capitolo sul digitale del Recovery Plan, ben analizzato con coscienza critica dalle riunioni delle associazioni che convergono nella Società della cura, rischia – invece- di confermare proprio il determinismo scientifico che, alla luce degli eventi, richiede una rilettura profonda. Per non diventare bruti e digitali.

  1. Sanremo è finito, ma fa parlare di sé, a cominciare dal discutibile riferimento di Barbara Palombelli alla morte di Luigi Tenco, con giusta reazione dei familiari. Non solo, però. Si è assistito alla resa incondizionata della Rai ai suoi concorrenti delle piattaforme streaming Disney+Star e Amazon Prime, i cui spot hanno inzeppato le serate avendo come testimonial persino una delle conduttrici dell’Ariston, la nuova stella Matilda De Angelis.

 


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