Caso Lugli, interviene la consigliera di parità di Pordenone. “Attivate le azioni previste dalle norme ma è la cultura che deve cambiare”

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La notizia si diffonde proprio intorno all’8 marzo e conferma che per le donne c’è ancora poco da festeggiare. Questi in breve, i fatti. In questi giorni la giocatrice di pallavolo Lara Lugli attraverso un post pubblicato su Facebook ha denunciato con amarezza la questione legale che la vede contrapporsi al Club che l’aveva reclutata per la stagione 2018/2019 nel campionato di B1: il Volley Pordenone. Tutto inizia quando a marzo del 2019 l’atleta comunica al club la sua impossibilità a proseguire la stagione perché incinta. A quel punto viene risolto il contratto, come accade per la pallavolo al femminile (e non solo), ma la schiacciatrice dopo un mese di gravidanza subisce un aborto spontaneo. In seguito l’atleta avrebbe chiesto al club di saldare lo stipendio di febbraio, ultima mensilità prima della rescissione, attraverso un decreto ingiuntivo.

«Il fatto grave comunque rimane — spiega sui social la stessa atleta riferendosi alla vicenda — perché anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione, perché una donna se rimane incinta non può conferire un danno a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”.

A quel punto la società risponde al decreto ingiuntivo presentando un’opposizione. Franco Rossato, l’allora presidente del Pordenone Volley (oggi non più esistente), precisa che il contratto predisposto dall’atleta stessa e dal suo agente prevedeva la cessazione del rapporto in caso di gravidanza e aveva al suo interno clausole che includevano penali in caso di cessazione del rapporto: «Vorremmo ribadire con forza» afferma il dirigente «che non crediamo che la gravidanza sia un danno e che soprattutto, non è mai stata avanzata dalla società alcuna richiesta di danni».

Sul tema interviene Chiara Cristini, consigliera di parità di Area Vasta di Pordenone: «Ho appreso oggi pomeriggio (9 marzo, ndr) dai social media la vicenda e ovviamente mi sono subito mossa, attivando un contatto sia con la pallavolista sia con l’associazione sportiva. Ho rilevato sul profilo social della sportiva la documentazione e procederò secondo le modalità previste dalla vigente normativa. Ma la norma da sola non basta, è la cultura che deve cambiare».

Quale sia la decisione finale, resta sospeso l’interrogativo se l’Italia sia davvero un Paese evoluto in tema di maternità e tutele per atlete e per le donne in generale. La risposta vorremmo che fosse positiva ma resta il fatto che esiste un divario fra uomini e donne per moltissimi aspetti. E fortemente sbilanciato. Moltissima la strada da fare attraverso la legislazione e un cambiamento culturale profondo. Fondamentale il ruolo del giornalismo al quale oggi si chiede che si batta per una rappresentazione che rispetti e valorizzi i risultati delle atlete attraverso una corretta informazione lontana da sessismi e stereotipi. Per la vertenza pordenonese ora la decisione passa al giudice di pace che convocherà le parti per il 18 maggio. Per tante altre atlete, la gara è ancora in corso.


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