Lorenzo Diana: “Sei anni di infamie, il proscioglimento. Riparto da Torre Annunziata”

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L’ex senatore, una vita passata a lottare contro la Camorra, era finito accusato di connivenza con i clan. Dopo una lunga battaglia il proscioglimento, ma con l’amaro in bocca. Ora farà il vice sindaco

L’accusa infamante all’ex senatore Lorenzo Diana di aver fatto il doppio gioco con il clan dei Casalesi – icona antimafia alla luce del sole dell’impegno politico, patti collusivi nel buio dei subappalti della metanizzazione – gli è rimasta appiccicata per quasi sei anni. Il tempo trascorso tra l’avviso di garanzia per concorso esterno e abuso d’ufficio, il provvedimento cautelare di divieto di dimora in Campania, e i proscioglimenti decisi dal giudice. Scagionato definitivamente poche settimane fa, su richiesta della stessa Procura di Napoli, consapevole dell’infondatezza delle notizie di reato.

Diana intanto ha perso l’incarico di presidente del Centro Agroalimentare di Volla e forse qualche candidatura e sicuramente una casa: “Ho dovuto venderne una che fu di mio padre per difendermi”. La sua vita politica ricomincia da vice sindaco di Torre Annunziata, la città che costò la vita al giornalista Giancarlo Siani. Il sindaco Vincenzo Ascione lo ha chiamato per dare una sterzata all’amministrazione colpita dallo scandalo del capo dell’ufficio tecnico comunale arrestato con la mazzetta da 10mila euro ancora in tasca.

Diana, perché ha accettato questa nomina?
Decenni di impegno politico anticamorra tra Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa, dove sono nato e cresciuto, mi hanno insegnato che non c’è territorio che non sia possibile cambiare. Nonostante mi sia imbattuto spesso, anche nel mio campo di sinistra, in una diffidenza alla possibilità di recuperare aree che molti ritenevano ‘perse’. Nel 1988 Casal di Principe fu attraversata da un corteo di camorristi armati e impuniti, pareva una realtà sudamericana. Spesso prevaleva la rassegnazione. Una fiammella di speranza si accese solo il 5 dicembre 1995: l’operazione Spartacus.

Spartacus, l’inchiesta e il processo resi celebri da Roberto Saviano. Lo scrittore ha avuto parole d’affetto per lei, che fu l’unico politico citato in Gomorra, auspicando la sua candidatura a sindaco di Napoli da contrapporre a quella, di area centrodestra, del pm che lo inquisì.
Lo ringrazio, ma candidarmi a sindaco di Napoli non rientra nei miei pensieri. Lo ringrazio anche per aver alzato la voce sul tema delle distorsioni della giustizia, usando espressioni molto forti quando invita il pm Catello Maresca (candidato sindaco in pectore di Napoli, ndr) a chiarire, uso le sue parole, “perché ha tenuto in ostaggio Diana per cinque anni”.

Cinque anni tra le accuse e i proscioglimenti: che effetto hanno avuto su di lei?
L’eccessiva superficialità ed approssimazione dell’azione giudiziaria mi ha esposto al pericolo di ritorsioni e minacce dei camorristi. Ho perso la scorta, il prefetto mi scrisse che ero indagato. Un presupposto che si è dimostrato infondato. E delegittimando me che ero uno dei principali oppositori ai clan, si è indebolito il fronte sociale dell’anticamorra. Cinque anni e mezzo per prosciogliermi sono stati troppi: la prova della mia innocenza era evidente nelle indagini e poteva essere riscontrata in poco tempo.

A cosa si riferisce in particolare?
Alle dichiarazioni dei pentiti Antonio Iovine e Massimiliano Di Caterino. Iovine affermò che i clan ebbero interessi nella metanizzazione dell’agro aversano. Aggiunse che il clan non si recò a San Cipriano, la città di Lorenzo Diana. E nient’altro. Non mi accusa di corruzioni o collusioni. Il teorema investigativo però era: la camorra non va a San Cipriano perché aveva un patto con me. Ma Iovine non lo dice mai. Anzi, al processo alla dirigenza Cpl per la metanizzazione, incalzato dal presidente del collegio Chiaromonte, Iovine precisa che boss e affiliati del clan sapevano tutti che Diana era dietro gli arresti di Spartacus, e quindi quando c’ero io non venivano proprio per non fare casino. Nel 2014 invece il pm Maurizio Giordano ascolta Di Caterino nel carcere di Carinola nell’ambito di una indagine sulla gestione dell’acqua che riguarda l’ex senatore Udeur Tommaso Barbato. Il pm chiede a Di Caterino chi sono i politici amici del clan. Lui risponde facendo dei nomi. Poi gli chiede se c’erano politici a loro nemici. Lui risponde con un solo nome: “Lorenzo Diana, era sempre in guerra contro di noi”. Ma questa dichiarazione non era nel mio fascicolo.

Come l’ha trovata?
E’ stato il mio avvocato, Francesco Picca. Lo stesso avvocato di Barbato. Altrimenti non ne avremmo mai avuto conoscenza.

Chi le è stato vicino in questi sei anni?
Il fondatore del premio Borsellino, Leo Nodari. Mi ha invitato ogni anno alla cerimonia, ma io in questi anni non ho mai partecipato ai convegni antimafia, non me la sentivo. Poi Beppe Giulietti di Articolo 21, l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Verde, che scrisse un editoriale di forte critica alla procura. E ricordo che il pm Antonello Ardituro, una settimana dopo i provvedimenti cautelari, in un’intervista al Mattino disse che Iovine non aveva detto nulla su di me. Ardituro in quel momento era un consigliere del Csm, ma prima era stato il pm che aveva accompagnato Iovine a pentirsi raccogliendo le prime dichiarazioni.

Chi invece l’ha abbandonata?
La mitizzazione acritica di tutta la magistratura ha fatto che pezzi di associazione anticamorra si siano allontanate subito. Potevano essere maggiormente consapevoli della realtà, ma un avviso di garanzia è visto sempre come una mezza condanna.

Cosa ha provato vedendo gli scatti di carriera dei procuratori e dei pm che lo hanno indagato?
La carriera dei magistrati si intreccia coi processi mediatici. Da indagato, e col senno di poi, ho capito che è più importante il clamore di una misura cautelare che il valore del provvedimento in sé, nel mio caso fu revocato dopo 19 giorni, o dell’accusa, io ne avevo una di abuso d’ufficio, come il ministro dell’Interno dell’epoca, Alfano, che rimaneva al suo posto… Ho compreso che esiste una eccessiva rotazione, troppe nomine, degli incarichi direttivi dei magistrati. Una degenerazione di carrierismo che si alimenta di visibilità mediatica. Parlo in generale, non dei miei pm.


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