Perchè ora più che mai bisogna raccontare gli Usa

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Il 21 gennaio, la presidenza Trump verrà archiviata, non accadrà lo stesso il “trumpismo” come dimostrano chiaramente i fatti di questi giorni.
Dopo oltre 40 sconfitte nelle corti locali e statali, la rotta giudiziaria del Presidente uscente è diventata disfatta totale con i due pronunciamenti della Corte Suprema (su nove membri, sei conservatori, di questi – record – tre nominati proprio da Trump). In entrambi i casi, l’equivalente della nostre Corte Costituzionale ha letteralmente ridicolizzato l’ultimo disperato tentativo dell’attuale inquilino di non lasciare la Casa Bianca.
Nonostante l’evidenza dei fatti, Trump continua a denunciare brogli, di volta in volta inventando un nemico: ultimo in ordine di apparizione il suo collega di partito, governatore della Georgia, nonostante abbia persino “regalato” al comitato Trump un riconteggio altrimenti a pagamento.
Il popolo del presidente – lo zoccolo duro che considera Trump un eletto mandato dal Signore per salvare l’America – inserisce la teoria del complotto sui brogli nella più vasta narrazione di QAnon, ormai una sorta di “culto” che vede Biden membro di una setta di satanisti pedofili, Bill Gates autore dell’operazione Covid per ridurre la popolazione mondiale, Soros (perchè in ogni cospirazione l’antisemitismo ha sempre un posto) e via dicendo.
Il silenzio dei maggiorenti del GOP – il partito repubblicano di “great” e di “old” ha ormai pochissimo, dopo la cura Trump che l’ha completamente rimodellato – conferma quei sondaggi secondo cui la stragrande maggioranza degli elettori conservatori crede al “furto del voto”.
Il trumpismo è questo: la costruzione di una dimensione parallela che viene propagata da cantastorie moderni (dal general Flynn ad Alex Jones di InfoWars). Se Trump cerca di beneficiarne per una possibile – sua o del figlio – ricandidatura nel 2024 e di usarla come scudo per quella che sarà l’offensiva giudiziaria dopo la fine dell’immunità presidenziale, il danno per l’America è gravissimo. Ormai ci sono personaggi che parlano apertamente di secessione, il Paese è più diviso che mai e sarà difficilissimo il lavoro di Biden per risarcire ferite ormai aperte da troppo tempo e finite in necrosi.
Negli ultimi dieci anni negli Usa, si è perso il 50% dei posti di lavoro nel settore del giornalismo, per lo più nella stampa locale. Il cuore dell’America – quello lontano dalle coste ma cruciale per il consenso nel Paese – ormai non ha più fonti di informazione certificate, è nelle mani di radio ultrareligiose e di “predicatori” via internet alla Jones. Ormai anche la amata FoxNews è annoverata nella lista dei network comunisti, mentre prendono quota tv di ultra-destra come OANN o Newsmax.
I grandi giornali non riescono a colmare questo vuoto perchè, già vissuti con diffidenza dall’America rurale (quella che un tempo aveva i suoi giornali locali), sono stati delegittimati apertamente da Trump con la sua ossessiva campagna anti “fake news”, funzionale al racconto di “fatti alternativi” (termine usato dallo staff presidenziale per abbellire le bugie di Trump) che appunto nessuno deve poter smentire. Un dittatore avrebbe fatto chiudere le testate sgradite, il presidente ha scelto di delegittimare non di rispondere nel merito alle loro accuse.
Di solito mi trovo a scrivere, in maniera critica, dell’assenza di informazione su crisi dimenticate, mi sembra un po’ paradossale ritrovarmi a pensare che ora è il momento di occuparsi un po’ di più (e meglio) del Paese forse più mediatizzato al mondo.
I quattro anni di presidenza Trump ci dimostrano però che il copione della disinformazione americana si è ripetuto uguale in Europa, prima come sorgiva spontanea tra i fanghi della Rete poi legittimata dal politico sovranista di turno dando così legittimazione e dignità pubblica alla bugia di turno.
Cosa accaderebbe all’Italia e all’Europa se un candidato di destra sconfitto dovesse denunciare brogli, contribuendo ulteriormente a smantellare una democrazia che da anni si prova ad indebolire?
Per immaginarselo si può partire da quanto abbiamo visto nelle piazze italiane con gli attacchi della feccia no mask contro polizia e giornalisti in nome di una presunte libertà di infettare gli altri, il resto del copione non può – per ora – che essere ipotizzato.
L’informazione ha quindi il dovere di continuare a tenere alta l’attenzione sugli Stati Uniti, su quel fiume carsico che erode la democrazia mettendo in circolo bugie e falsità alle quali – anche quando le ripete l’inquilino della Casa Bianca – non si può dare dignità di notizia, senza ricordare che si tratta di accuse infondate e affermazioni senza prove.
Non basta limitarsi a “ha perso, voltiamo pagina” bisogna tenere sotto osservazione la narrazione, il copione della disinformazione che prende corpo in America. Lo dimostra, per esempio il caso Covid, l’Italia è passata in pochi mesi da Paese che metteva al primo posto le vite a Paese dove il pericolo virus è stato sminuito, ogni tipo di limitazione governativa demonizzata, l’economia eletta a priorità proprio in ossequio del copione americano.
Per quanto, in questi anni, lo schierarsi abbia fatto la fortuna dei “vecchi” network tv americani, Non sto invocando un giornalismo partigiano ma uno che racconti quello che sfugge a troppi, che metta insieme i pezzi, che disegni il quadro completo senza slogan e senza retorica. Ce n’è bisogno urgente per prepararsi a quello che potrebbe accadere anche da noi e per rafforzare la nostra democrazia europea.

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