Il clan Bellocco e la tela del ragno verso la capitale del Lazio

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La ‘ndrina del capo crimine Umberto Bellocco classe 1937 di Rosarno è, senza alcun dubbio, una delle famiglie criminali più antiche, pericolose e potenti della ‘ndrangheta, coinvolta nei più importanti processi negli ultimi quarant’anni. Il boss, da qualche mese è stato trasferito dal carcere Bacchiddu di Sassari, al reparto di Medicina Protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo.  Il capo crimine Umberto nonostante la lunga detenzione, ha continuato a ricoprire il suo ruolo apicale all’interno del suo clan. Negli anni 2000, le più importanti famiglie calabresi si erano riunite per raggiungere un accordo relativo ai lavori di ammodernamento della Salerno Reggio Calabria e sarebbero spettati alla cosca operante nel territorio su cui venivano eseguiti i lavori tangenti pari al 3% del capitolato, che venivano mensilmente consegnate a esponenti delle cosche Gallico e Bruzzise. E’ grazie all’impegno degli investigatori dell’arma e del pm della DDA di Reggio Calabria Giovanni Musarò che emerge questo sistema criminale che coinvolge molte famiglie importanti del gotha della ‘ndrangheta come i Gallico. In alcuni territori tuttavia, non erano chiari i rapporti di forza fra le varie ‘ndrine e a chi, sarebbe spettato il diritto a riscuotere i soldi. In alcuni casi, come nelle frazione di Barritteri di Seminara, aveva scatenato una vera e propria faida, che aveva coinvolto lo schieramento Bruzzise-Gaglioti, da una parte, e quello Gallico-Morgante-Sciglitano. Su questa faida è aleggiata “l’ombra dei Bellocco”. Incontri non casuali e scambi di auguri: nel mese di Agosto 2005 risulta che Umberto Bellocco, e Giuseppe Bruzzise, entrambi sottoposti al regime di 41 bis nel carcere di Terni, passeggiano assieme persino il 14 agosto del 2005, cioè il giorno dell’omicidio di Bruzzise Giovanni “alias Spannavento”. La conferma dei rapporti fra Bellocco e Bruzzise, si possono dedurre anche, da una cartolina che quest’ultimo aveva inviato al Bruzzise per formulargli gli auguri per la Pasqua del 2007.

I Bellocco sono una delle cosche che ha scelto di spostare a Roma e in altre regioni, parte dei suoi ”quadri dirigenti”. Nella capitale da anni, si occupano principalmente di traffico di droga. Alla guida del gruppo-secondo i collaboratori di giustizia- ci sono Domenico Bellocco (1980) ed Umberto Bellocco (1991), figli di Carmelo e nipoti di Umberto Bellocco, legati, secondo i collaboratori di giustizia con uno dei boss di Montespaccatto: Costantino Sgambati. Negli anni i Bellocco, hanno potuto interagire nel business della cocaina, grazie ad un accordo con uno dei sei re di Roma: Michele Senese. La loro “ombra” campeggia anche su una delle piazze più grandi della capitale: San Basilio.

E’ invece tra Anzio e Nettuno, che i Bellocco hanno costituito una vera e propria “colonia criminale” nel pieno del territorio della locale di ‘ndrangheta dei Gallace originari di Guardavalle. I Bellocco operano sul territorio, con l’autorizzazione del boss Bruno Gallace, uno dei mamma santissima del clan, intervenendo in un tessuto criminale di tipo mafioso ben radicato: tra narcos locali, la ndrangheta dei Gallace, massicce presenze camorristiche e di famiglie originarie di Tor Bella Monaca come gli Sparapano. Responsabile della “colonia” è Francesco Corrao rappresentante della cosca Bellocco nel litorale, accusato da Salvatore Celini, (soggetto di elevato spessore criminale) di non avergli pagato 90 chili di hashish e per questo, sollevato dall’ incarico con tanto di procedimento disciplinare dai suoi superiori: Umberto Bellocco (classe 1991) e Domenico Bellocco (classe 1980). E’ questa la “nitida fotografia” che emerge dall’inchiesta del Goa delle fiamme gialle di Reggio Calabria coordinato dalla DDA di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. Prima di essere sollevato dall’incarico Francesco Corrao voleva “conquistare” il territorio di Anzio e Nettuno chissà scalzando il clan Gallace con il trasferimento sul litorale romano di Umberto Bellocco classe 91 dotato di un grande carisma all’interno di tutta la ‘ndrangheta: ”Così … poi, quando abbiamo la forza ci prendiamo tutte cose. Tutto ci dobbiamo prendere! Vedi che … tu credimi, vedi che non ce n’è, nisba per ora … cinque, sei mesi… Lascia che esce Umberto … come ci riprendiamo ce ne andiamo … … qua indiscussi dobbiamo essere! Qua non … se non vengono da noi non devono andare in nessun posto!”. Il progetto di Corrao pare essere fallito…Sta di fatto, che nel Lazio, ancora una volta, si registra un unicum nel panorama delle mafie in Italia: l’inserimento di una cellula di un clan diverso in un territorio dove è già presente una locale di ‘ndrangheta ed altre strutture criminali.


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