La subdola censura della ‘lite temeraria’

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Non c’è pezza, si dice a Bologna; non esiste possibilità. La legge sulle querele bavaglio non riesce a venir fuori dal labirinto del Parlamento; la politica non riesce a trovare la quadra su una regola che possa porre fine a una vera e propria forma di intimidazione che colpisce il mondo del giornalismo: le denunce per diffamazione a mezzo stampa che – di fatto – alcune volte non sono altro che vere e proprie “liti temerarie”.

Cos’è una “lite temeraria”? In una causa «…se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza…» (art. 96 Codice di Procedura Civile); ovvero, se qualcuno porta la propria controparte davanti al giudice per chiederne la condanna, pur sapendo che non ne esistono i presupposti, deve risarcire il danno cagionato. E ne può rispondere ‘in solido’ anche il legale che ha incardinato la causa; questo in particolare dal 2017, da quando è entrata in vigore la così detta riforma Orlando, che prevedeva il giudizio anche per l’avvocato. Ma da quanto è entrata in vigore la norma, non sono state molte le condanne per “lite temeraria”. E cosa c’entrano i giornalisti? C’entrano, perché spessissimo i cronisti – e i direttori responsabili delle testate su cui è uscito l’articolo o il servizio “incriminato – devono difendersi in tribunale per querele presentate solo per esercitare pressioni su chi svolge inchieste giornalistiche, sulle redazioni e sugli editori. E considerato che spesso al centro delle “indagini” di giornali e televisioni vi sono politici di vario censo (dal consigliere comunale al parlamentare di lungo corso) ecco che chiedere alla politica di emanare una legge che renda complicato querelare un giornalista è come …mettere la volpe a guardia del pollaio…, per dirla con Shakespeare.

La proposta di legge contro le querele bavaglio vede come firmatario “originario” il Senatore Primo Di Nicola; è una proposta di legge chiarissima, composta da un solo articolo che si propone di modificare l’art. 96 sopra citato, aggiungendo il seguente testo: «Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, dalle testate giornalistiche online o della radiotelevisione, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria». In pratica, con l’auspicato “comma 2” dell’art. 96 C.p.C., chi chiede 100mila euro di danno a un giornalista e alla sua testata deve mettere sul tavolo 50mila euro: se la richiesta è fondata e il giornalista viene condannato, il “denunciante” incasserà 100mila euro ma se la richiesta è respinta per mala fede, i 50mila euro rimango sul tavolo.

Ma il Parlamento sta lavorando da un anno e più per ridurre la percentuale pensata dal Senatore Di Nicola. E la squadra che si mette di traverso per non far approvare la legge, è “trasversale”; raccoglie, cioè, Parlamentari di diversi schieramenti.

Dopo le richieste di censurare le puntate di Report (Rai) e di Atlantide (La7), Articolo 21 ha organizzato un incontro web, “a distanza”, per confrontarsi sulla tematica; oltre a tanti giornalisti, hanno preso parte al webinar gli onorevoli Primo Di Nicola e Walter Verini. E poi rappresentanti di associazioni e movimenti che si battono per la libertà di espressione. «Già in Commissione ci sono stati tentativi di affossare la norma – ha detto Di Nicola – ma ho tenuto botta! Il disegno di legge è rimasto inalterato, ma in dicembre una volta arrivato in discussione ci fu un tentativo pesante di snaturarlo. Si ebbe una discussione con i capi-gruppo delle Commissioni; e si arrivò a una riduzione della percentuale dal 50 al 25 per cento. A gennaio 2020 doveva andare in aula, ma poi venne “scalendarizzato” e rinviato fino a oggi. Ora però si è arrivati a emendamenti che tolgono la percentuale del risarcimento inserendo cifre variabili come il doppio delle spese legali o comunque non meno di 10mila euro. Sono tentativi di far finire il disegno di legge su un binario morto; per impedirlo, serve una mobilitazione di giornalisti ed editori». E in effetti, lo scorso 4 novembre il Senato ha rinviato ancora.

Beppe Giulietti ha rimarcato una volta di più la disponibilità della FNSI di organizzare o aderire a iniziative che possano sollecitare lo sblocco della discussione sul disegno di legge «La libertà d’informazione è parte della cura; l’informazione seria e non l’informazione di qualche delinquente. L’informazione è la cura perché ce l’ha dimostrato Report, con i recenti lavori sul Covid in Lombardia. Querele bavaglio ed equo compenso sono misure e provvedimenti su cui bisogna difendere i colleghi a tutti i costi. Serve un’azione collettiva; e nessuno deve essere lasciato solo. Il tentativo di scoprire le fonti di Report va in violazione del contratto di servizio della Rai. Propongo un contro-esposto avverso le iniziative messe in campo contro la libertà d’informazione. Ai cronisti senza diritti non si può chiedere di esporsi più di quello che fanno; noi tutti dobbiamo portare davanti al Senato i colleghi e le colleghe che rischiano di essere imbavagliati, per permettere loro di raccontare in pubblico le loro storie. Si deve dire in piazza che si sta cercando di nascondere il racconto di e ad una comunità».

L’assemblea online di Articolo 21 ha visto le testimonianze di Sigfrido Ranucci, il quale ha reso pubblici i tentativi “tecnici” di carpire le fonti di Report, attraverso meccanismi contabili legali. Ha portato la sua esperienza Federica Angeli, la quale ha raccolto il record di querele: 120. Anche Antonella Napoli ha potuto raccontare del suo percorso più che ventennale contro un amministratore che l’ha denunciata per diffamazione.

E proprio su questi tentativi di intimidazione che si deve porre l’attenzione maggiore, perché se querelare, chiedere l’oscuramento o avanzare richieste danni a Report o ai giornalisti di Repubblica e di altri grande testate può rappresentare uno scontro fra titani, querelare i free-lance di provincia fa venire in mente l’invasione della Polonia da parte del Terzo Reich, nell’indifferenza delle grandi potenze mondiali.


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