Interi villaggi distrutti, migliaia di vite perse, un esodo senza fine che sta coinvolgendo anche paesi confinanti come il Sudan. L’ultimo attacco sulla capitale della regione del Tigray ha portato al collasso le strutture ospedaliere, come ha evidenziato la Croce Rossa Internazionale che ha lanciato l’allarme sulla crisi sanitaria: i presidi medici non ce la fanno a fare fronte ai feriti nei combattimenti dell’offensiva lanciata dall’esercito federale contro le forze separatiste locali lo scorso 4 novembre.
Un’offensiva che il premier etiope, Ahmed Abiy, ha definito un successo dopo la ‘conquista’ del capoluogo tigrino Macallè che sarebbe ora sotto il controllo governativo.
Su quanto stia avvenendo nella regione arrivano poche notizie che non sempre si possono verificare sul posto a causa di un blackout delle comunicazioni.
La Croce Rossa, una rara fonte di informazione da Macallè, ha denunciato come la sanità tigrina stia vivendo una drammatica carenza di medicine, attrezzature mediche e cibo e anche di sacche per i cadaveri. Ll’80% dei pazienti soffre da ferite di origine traumatica e che il flusso ingente di feriti ha obbligato l’ospedale a sospendere molti altri servizi medici. Nonostante in Etiopia sia in atto un vero e proprio massacro. L’episodio più grave del conflitto nel Nord del Paese dove in un solo giorno almeno 600 persone sono state uccise, la maggior parte di etnia Amhara, massacrate con machete e armi da fuoco. A perpetrare l’eccidio nella città di Maikadra il gruppo giovanile ‘Samri’, di etnia Tigray.
A denunciarlo la Commissione etiope per i diritti umani, Ehrc, spiegando che alle violenze hanno partecipato forze della sicurezza locali. L’organismo ha potuto verificare quanto accaduto in seguito all’invio di un gruppo di esperti in diritti umani a Maikadra, nella regione del Tigray.
Nel frattempo a New York il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha tenuto oggi la sua prima riunione sul conflitto etiope su richiesta dei membri europei.
Secondo quanto rivelato da fonti diplomatiche del Palazzo di Vetro, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Germania ed Estonia hanno “sollevato la questione” dei combattimenti in corso da settimane.
L’incontro è stato convocato dopo che il leader del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf), Debretsion Gebremichael, ha respinto l’ultimatum del primo ministro Abiy Ahmed che domenica scorsa aveva concesso 72 ore ai tigrini per arrendersi. In una dichiarazione, Gebremichael ha negato che le sue truppe siano sul punto di essere sconfitte e ha ribadito che il popolo del Tigray è pronto a morire per difendere il proprio diritto ad amministrare la regione.
Intanto il primo ministro Abiy Ahmed ha invitato la comunità internazionale ad astenersi da “non graditi e illegittimi atti d’ingerenza” nei propri etiopi, in riferimento al conflitto in atto nella regione del Tigray. Questa mattina il premier ha dichiarato che “la comunità internazionale dovrebbe restare a guardare fino a quando il governo dell’Etiooia non presenterà le sue richieste di assistenza”. Il messaggio assume contorni ancor più preoccupanti alla scadenza dell’ultimatum rivolto al Fronte di liberazione del popolo dei Tigray. L’attacco finale delle forze armate si prospetta più cruento che mai.
Sono già migliaia le vittime mentre cresce il numero delle persone sfollate a causa dal conflitto in corso, mentre cresce da più parti la preoccupazione per una crisi umanitaria e la destabilizzazione del Corno d’Africa.
L’esercito federale è alle porte di Makallè – capitale della regione tigrina – abitata da 500 mila persone e sede del Tplf.
L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri, Josep Borrell, ha incontrato ieri il ministro degli esteri etiope al quale ha espresso la grande preoccupazione dell’Europa riguardo l’aumento della violenza etnica, le numerosi morti e le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale che si stanno susseguendo nel Paese.
Nel frattempo le Nazioni Unite hanno chiesto al governo l’apertura di corridoi umanitari per consentire l’accesso agli sfollati che, secondo le stime riportate dal quotidiano “Addis Standard”, sono piu’ di 94 mila. Inoltre, decine di civili sarebbero rimasti uccisi nei combattimenti iniziati lo scorso 4 novembre. Sono invece piu’ di 50 mila le persone che si sono invece rifugiate nel vicino Sudan.