La Polonia è, di fatto, fuori dall’Europa

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A questo punto, se esiste ancora almeno una parvenza di Unione Europea, questa nobile istituzione non può far finta di niente. La vittoria dell’ultraconservatore Duda, retrogrado, anti-abortista e cultore di un fondamentalismo religioso che è in parte frutto di convinzione e in parte di convenienza elettorale, ha posto di fatto la Polonia fuori dall’Europa. Qualcuno sostiene, non a torto, che un paese membro non possa essere cacciato, il che è vero e sarebbe anche giusto, se non fosse che ormai stiamo assistendo, da troppo tempo, a un abuso di questa intangibilità. Continuare a tener dentro nazioni in preda a un’evidente deriva fascista, dalla Polonia all’Ungheria, con tutto ciò che ne consegue in materia di equilibri interni, rispetto delle regole e dei diritti umani, tutela delle minoranze e della libertà d’informazione, diritti delle donne e via elencando, continuare a sopportare questa deriva xenofoba, razzista e anti-europeista, significa infatti infliggere un colpo mortale all’idea stessa di Europa.
Qui non si tratta più di rivendicare i princìpi di Spinelli, il Manifesto di Ventotene e lo spirito dei padri del dopoguerra. Qui ormai si tratta di capire se vogliamo continuare a vivere in un continente evoluto e faro di democrazia e libertà per il resto del mondo o se vogliamo distruggere tutto ciò in cui abbiamo creduto per decenni per lasciar spazio a una fortezza circondata da muri, fili spinati e con all’interno i germi del proprio annientamento.
L’Europa, così com’è, non ha più alcuna ragione di esistere. La sconfitta del liberale Trzaskowski, l’avanzata dell’estrema destra, le idee di Duda in materia di diritti umani e civili e le posizioni del governo polacco circa l’indipendenza della magistratura dovrebbero indurre l’opinione pubblica del Vecchio Continente a chiedere a gran voce che questa nazione venga allontanata dal consesso dei ventisette. Rispettare la democrazia e il principio di autodeterminazione di un popolo, infatti, non significa accettare passivamente che il germe della dittatura, o comunque di una democrazia autoritaria e sostanzialmente inesistente, possa corredere quel poco che ci resta in termini di istituzioni autonome e rappresentative e di conquiste faticose e frutto di un cammino tutt’altro che indolore.
L’omicidio di Adamowicz a Danzica, il clima pesantissimo che si respira in tutta la Polonia rurale, la netta divisione generazionale e sociale fra una gioventù progressista e un elettorato anziano spaventato e incline a rigurgiti nazionalisti che affondano le radici nella reazione al dominio sovietico durato, ahinoi, troppo a lungo, tutti questi fattori offrono importanti sputi di riflessione e non possono essere posti in secondo piano. Ora, tuttavia, è il momento di agire. Duda, spiace dirlo, non può essere considerato un interlocutore, così come non possono essere considerati interlocutori altri autocrati che stanno minando alle fondamenta il concetto stesso di Unione Europea. Senza contare che il nazionalismo spinto di questi paesi, i loro continui veti posti su ogni tentativo di compiere un passo avanti in materia di Unione politica, il loro rifiuto di ogni forma di solidarietà e collaborazione e la loro posizione ai limiti del nazismo sul tema dei migranti costituiscono altrettante ottime ragioni per porre fine a una convivenza indesiderata e dannosa.
La finzione dell’Unione che accoglie tutti e mitiga le pulsioni più barbare presenti all’interno dei vari stati è durata sin troppo, producendo come unico risultato quello di trasformare i disvalori in valori e di rendere degli esempi e dei punti di riferimento dei personaggi che andrebbero, invece, contrastati col massimo vigore. O poniamo fine a quest’ipocrisia o sarà la fine di tutto: dell’Europa e, quel che è peggio, del poco che resta della democrazia.

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