Turchia, si è spenta a 28 anni Helin Bolek. Digiunava per protesta contro prigionia dissidenti curdi da 288 giorni

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Helin Bolek aveva 28 anni, era bella, determinata, coraggiosa e aveva una grande passione, la musica. Era la voce di un gruppo musicale, i GrupYorum, simbolo della rivolta contro gli abusi e i soprusi del presidente Recep Tayyp Erdogan nei confronti del popolo curdo.Dopo 288 giorni di  sciopero della fame per protestare contro l’ingiusta detenzione di alcuni componenti della sua band, si è lasciata morire nella Turchia di Erdogan che considera gli oppositori, i dissidenti  e i giornalisti non allineati dei terroristi. La giovane cantante e attivista curda era stata arrestata nel 2016 con altri quattro musicisti della sua band con l’accusa di “vicinanza” a organizzazioni terroristiche di sinistra.
La Bolek aveva iniziato a digiunare nel maggio 2019, scarcerata lo scorso novembre a causa delle precarie condizioni di salute insieme a un altro componente del gruppo, Ibrahim Gokcek, era stata riportata in carcere a marzo di quest’anno, il tutto senza mai interrompere il digiuno.
Qualche giorno fa le autorità l’avevano portata in ospedale con la forza, ma lei aveva rifiutato il nutrimento perché le sue richieste venivano ignorate

“Non siamo autolesionisti, vogliamo solo essere ascoltati e che quanto è accaduto a noi non si ripeta di nuovo” scriveva pochi giorni prima di morire sulla pagina Facebook del gruppo che venerdì 4 aprile ha diffuso la notizia della sua morte.
Sono stati in tanti a pubblicare sui social le foto del suo feretro, un telo coperto di fiori rossi e gialli che ne avvolgeva il corpo ormai minuto, per ricordarne la storia e il sacrificio.
Il bel volto di Helin, il suo sorriso aperto e combattivo che regalava ai fan quando si esibiva sul palco o alle manifestazioni di protesta, era solo un lontano ricordo.
La ragazza morta a Istanbul era ridotta a uno scheletro,  pesava solo 30 chili. Lo sciopero della fame l’aveva resa fragilissima nel fisico, senza però  intaccarne la determinazione.
A continuare la protesta resta ora solo, Ibrahim Gokcek, che continua a denunciare il bando imposto dal 2016 ai loro
concerti. e alle altre attività culturali del gruppo. e a chiedere la scarcerazione dei compagni ancora in carcere.
La persecuzione che li ha portati tutti dietro le sbarre è iniziata quando nel  2012 durante uno  dei più partecipati concerti pubblici della band  cantarono una versione turca di “Bella ciao” lanciando una campagna di resistenza contro il regime di Erdogan.
Da allora la canzone simbolo dei partigiani in Italia è stata intonata dai manifestanti che scendevano nelle strade e nelle piazze turche per protestare conto il governo.
Conoscendo la forza del popolo curdo e dei tanti attivisti che in Turchia contrastano le repressioni di Erdogan c’è da essere certi che Gokcek non resterà solo a lungo.
L’opposizione turca ha espresso vicinanza alla famiglia e agli amici di Helin e ha sottolineato che “a ucciderla è stato il regime e il silenzio fatto calare su di lei”.
Durante il corteo funebre sono risuonati gli slogan di protesta scanditi dalla folla che accompagnava la bara in legno portata a spalla da un corteo di sole donne. Immagini drammatiche come il ricordo del suo compagno di digiuno, che avvolto nelle coperte ha voluto pronunciare con un filo di voce la sua denuncia: “Sapeva che prima o poi sarebbe morta lei, o sarei morto io. Lei è morta, ora morirò io. E che succederà? Siete contenti che adesso?” il suo grido di dolore rivolto al governo di Erdogan.
La notizia della tragica fine della musicista 28enne si è diffusa in rete mentre si levano alti sempre più appelli che chiedono ad Ankara di non abbandonare in carcere i dissidenti in precarie condizioni di salute con il rischio di ammalarsi di coronavirus.
Un invito rilanciato anche da Human Rights Watch nelle ore in cui in Parlamento inizia la discussione sulla maxi-amnistia che tra pochi giorni potrebbe liberare 90 mila prigionieri. Tra i beneficiari, però, non rientrano attualmente molti dei principali oppositori di Erdogan e giornalisti, dal leader curdo Selahattin Demirtas, che soffre di problemi cardiaci, allo scrittore e giornalista 70enne Ahmet Altan, che secondo l’ong sono tra i tanti detenuti “in pericolo di vita di fronte al virus”.

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