Ma a Trieste la Liberazione non arrivò il 25 aprile

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  1. La liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal ventennale regime fascista: questo il significato del 25 aprile, proclamato a Milano nel 1945 dai capi della lotta partigiana e diventato festa nazionale l’anno dopo.

  75 anni, tre quarti di secolo.

  Ma quassù, da noi, a Trieste, da quando si celebra in spirito unitario questa ricorrenza che segna la nascita dell’Italia moderna richiamandosi appunto alla liberazione? La risposta non può essere univoca per le vicende che hanno tormentato la vita di queste terre nel dopoguerra,  almeno per un decennio e forse anche di più.

  Nel cimiterino di Santa Croce, una frazione carsica di Trieste, ci sono varie lapidi che ricordano i caduti nella guerra partigiana, diverse una dall’altra: dipende dallo schieramento etnico-politico di riferimento. Si confondono con quelle che onorano i compaesani morti in servizio militare con l’esercito austroungarico.

  In giro nel paese di lapidi ce ne sono molte altre, dedicate ai morti nei campi di sterminio nazisti, nelle rappresaglie fasciste o in azioni di guerra partigiana. I  richiami anche ideologici sono però diversi. Nessuno ci trova nulla di male.

  Il monumento ai caduti, solenne e un po’ retorico, è uno solo, costruito dai cittadini del borgo con il lavoro volontario. Ed è li che, tra il 25 aprile e il primo maggio, per molti anni si sono alternate, in giorni e in ore differenti, le  varie  commemorazioni. Senza polemiche, con l’intesa non scritta che c’era spazio per tutti: il partigiano filo jugoslavo ma seguace di Tito, il compaesano di lingua slovena contrario al regime jugoslavo, il comunista che onorava Stalin e quello che si ispirava alla tradizione della sinistra italiana, e molte altre sfumature nazionali e politiche; fino ad arrivare al “crisano” senza richiami ideologici ma semplicemente antifascista.

  Le vicende di queste terre (ricordo l’occupazione dell’esercito jugoslavo, durata però solo un mese, e quella anglo-americana cessata alla fine del 1954, le liti sui confini, i territori passati alla Jugoslavia, l’esodo degli istriani) hanno segnato profondamente la coscienza civile e politica della popolazione, alimentando non rassegnazione ma una sorta di distacco che si è attenuato nei decenni; nella consapevolezza che i confini tra i paesi e gli uomini sono sempre destinati a caderMa Trieste è sempre in Jugoslavia? mi chiese il portiere dell’albergo dove, trasferito a Roma all’inizio degli anni settanta, mi accasai per qualche giorno in via del Babuino prima di prendere servizio a Radiosera. Non lo annoiai con inutili spiegazioni. Ma ebbi chiara la percezione che si apriva un’altra stagione della mia vita nella quale il 25 aprile avrebbe assunto un significato diverso, per così dire “italiano”: quello di oggi.


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