Guardia alta contro la mafia, “dopo” nessuno dovrà sentirsi solo

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Dentro l’incubo collettivo che stiamo vivendo, le organizzazioni criminali e mafiose si muovono con aggravata pericolosità. Lo fanno cercando di sostituirsi allo Stato, fornendo a fasce più fragili e indifese della popolazione generi alimentari, aiuti di diverso genere. O servizi nei quali negli anni hanno investito denaro riciclato.

Lo fanno offrendo denaro sporco a tassi usurari a imprenditori, artigiani, commercianti in ginocchio, continuando la penetrazione nell’economia legale oggi a terra. Si calcolano in circa due milioni le piccole imprese a rischio infiltrazioni. E lo fanno minacciando i giornalisti d’inchiesta – ultimo Salvo Palazzolo di “Repubblica” – e i giornali che svolgono per tutti noi un compito quotidiano fondamentale: garantirci informazione e libertà. Facendolo in questo momento con diversi rischi sanitari in più.

Hanno fatto bene uomini dello Stato come il Procuratore Nazionale Cafiero De Raho, tanti magistrati, rappresentanti di associazioni e personalitá come Roberto Saviano a dare l’allarme: tenere alta la guardia, monitorare la situazione con il coinvolgimento pieno e attivo delle istituzioni, delle forze sociali e di categoria, dei sindacati è davvero un imperativo.

Il ’dopo”, che va progettato adesso mobilitando le migliori energie del Paese, non sarà comunque facile. Per questo nessuno deve (e dovrà) né essere né sentirsi solo: per salvaguardare e ricostruire nuove forme di comunità democratica, impedendo a forze distruttive di minarne le radici.

È in questo quadro che la battaglia al fianco di giornali e giornalisti va combattuta perché anche qui nessuno sia solo. Per fortuna non è così. Non è così per “Repubblica” e il suo direttore Carlo Verdelli. Non è così per Salvo Palazzolo, come non è stato e non è così per altri coraggiosi giornalisti di questa testata, da Federica Angeli a Paolo Berizzi continuamente nel mirino di neonazisti pericolosi. Ma non deve essere così per Jacopo Iacoboni de La Stampa, Paolo Borrometi e per tutti coloro che vedono minacciati la propria vita, il proprio lavoro e quindi – con loro – la libertà di noi tutti. Non sono soli, non devono sentirsi soli, anche se la vita sotto minaccia e sotto scorta è davvero difficile.

Io ho l’onore, in Commissione Antimafia, di coordinare una delle sottocommissioni: quella che si occupa del contrasto alle minacce all’informazione e ai giornalisti.

Per lo scorso 20 marzo, anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avevamo promosso una iniziativa che avrebbe avuto certamente l’obiettivo  di tenere accesi i fari sulla necessità di non archiviare, di raggiungere verità e quindi giustizia per i due valorosi giornalisti del Tg3. Ma in quel giorno – con FNSI , Ordine – a discutere di come difendere meglio il giornalismo d’inchiesta sarebbero stati invitati tutti i 23 cronisti che vivono sotto scorta, i tantissimi fatti oggetto di querele temerarie e intimidatorie e tante forze e personalità.

Difenderlo meglio con mobilitazione civile ma anche con norme legislative di tutela più incisive, rafforzamento delle misure di protezione, dopo che il ministro Lamorgese e il viceministro Mauri hanno meritoriamente ridato vitalità all’Osservatorio istituito da Minniti  presso il Viminale e rimasto inoperoso durante il precedente governo.

L’iniziativa, per l’emergenza del virus, non si è potuta tenere. Ma i fatti di questi giorni la rendono più attuale che mai. Lo Stato, la società, tutti noi abbiamo il dovere di tutelare la libertà di informazione. Bene minacciato, come la legalità, ma di primaria necessità.

 

(dal blog di Walter Verini per Huffpost)


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