L’inquinamento democratico dell’agro nero di Latina. Il quadro terribile descritto dal Procuratore Prestipino: usano armi da guerra e fino a poco tempo fa troppe soffiate dagli investigatori

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Tutto in una sera: meno di due ore e abbiamo capito cos’è Latina, la città liquidata per decenni come il fortino dei fascisti. E poi? C’era tanto altro e lo ha snocciolato il Procuratore della Dda di Roma, Michele Prestipino, in Commissione Parlamentare Antimafia: una fitta rete di organizzazioni criminali, in primis il clan dei casalesi e diverse ndrine cui si sono uniti gruppi autoctoni, ossia gli zingari stanziali di Latina che hanno dismesso la loro faccia da ladri di polli e si sono messi sul mercato pesante della droga, delle estorsioni e del condizionamento del voto democratico. Non è poco ma non è tutto. L’audizione è stata un boccone amaro sotto diversi profili, perché proprio Prestipino, magistrato tra i più esperti di vicende di mafia, si è detto stupito delle modalità violente applicate su quel territorio. Il video che ritrae l’assalto alla villa di un imprenditore vittima di estorsione da parte dei Gangemi, che dalla Calabria hanno traslocato ad Aprilia e che a giugno 2018 sono stati arrestati insieme agli esecutori del raid condotto a  colpi di fucili da guerra, tutto ripreso da una telecamera contiene una sequenza di immagini che ha sorpreso persino il capo della Dda. “Una scena violentissima, armi da guerra usate per un danneggiamento, un episodio molto grave e significativo del livello criminale che si dispiega in quell’area”, ha detto Prestipino ai commissari dell’Antimafia. Il processo a Sergio Gangemi, cui è stato sottratto anche un consistente patrimonio, è tuttora in corso davanti al Tribunale di Velletri, i Comuni di Pomezia e Aprilia sono parte civile e il principale imputato, don Sergio appunto, aveva offerto come risarcimento la realizzazione di un’opera di pubblica utilità, al fine di avere lo sconto di pena. Offerta rifiutata perché i due Comuni hanno ritenuto offensiva la riparazione economica visto il danno di immagine subito proprio con quelle immagini di violenza inaudita ed arrogante. Eppure non sono gli unici elementi che suscitano stupore negli ambienti investigativi. La provincia di Latina ha offerto in questi anni un quadro più che inquietante. Il procuratore Prestipino ha descritto, con termini diplomatici, una situazione drammatica sul fronte investigativo, dove gli uffici locali risultavano permeabili a causa “della territorializzazione eccessiva degli apparati investigativi e dell’isolamento del territorio”. Tradotto: nei fatti tutte le  maggiori inchieste degli ultimi quattro anni sono state inquinate da soffiate di alcuni apparati investigativi e in molti casi sono stati arrestati membri delle forze dell’ordine. “Adesso le cose sono cambiate – ha detto ancora Prestipino – sia in termini quantitativi che qualitativi, c’è stato un rafforzamento grazie alla collaborazione dello Sco, esiste un pool di magistrati che si dedica nello specifico a quel territorio e abbiamo un’ottima collaborazione con la Prefettura sul fronte della prevenzione. Ma c’è voluto, appunto, uno sforzo importante perché, come ho detto già nella precedente audizione (quella del dicembre 2016), c’erano problemi”. Proprio nel 2016 lo stesso magistrato rivelò in Commissione le difficoltà che esistevano a Latina circa la segretezza delle indagini. Caso emblematico la “fuga” che fece saltare un’inchiesta importante iniziata appena 40 giorni prima della soffiata. Gli esempi, purtroppo non mancano neppure nei procedimenti della Procura ordinaria: negli atti del processo Arpalo, quello sul riciclaggio legato al Latina Calcio e dove il principale imputato è l’ex parlamentare di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta, risulta che quest’ultimo fu informato da apparati investigativi delle intercettazioni in corso circa le verifiche sulla società sportiva di cui in quel momento era il Presidente. Uno scenario terribile, degno del Sud più profondo, o forse addirittura peggiore, se si pensa che ancora Prestipino si è detto incredulo delle estorsioni praticate dal clan Di Silvio in danno di alcuni avvocati del Foro di Latina. “In tanti anni non ho mai visto una cosa del genere, nemmeno a Palermo o a Reggio Calabria. E, voglio aggiungere, non c’era un intento predatorio perché le richieste estorsive erano di lieve entità, alcune centinaia di euro, bensì ci siamo trovati di fronte ad un attacco alle regole democratiche e al ruolo della difesa; si volevano cambiare le carte del gioco democratico, qualcosa di molto grave”. Parole pesanti come macigni che delineano una situazione inquinata e pericolosa persino più che in zone dove la presenza della criminalità organizzata è endemica e si esplica con reati che vanno oltre l’estorsione. Latina, la città fascista appunto, si è lasciata permeare fin nel midollo della sua democrazia, come dimostrano tutti gli elementi raccolti in relazione al condizionamento delle campagne elettorali da parte dei componenti della famiglia Di Silvio, i quali imponevano un loro tariffario sull’affissione dei manifesti e le loro “leggi” circa la occupazione di spazi in favore di un candidato anziché di un altro. Un servizio “tutto incluso” che prevedeva pure i pacchetti di voti, come hanno riferito i due pentiti del clan, ossia Agostino Riccardo e Renato Pugliese. le loro dichiarazioni in parte sono state già verificate e per il resto è in corso la verifica. Ma ciò che lascia senza fiato è il numero delle tornate elettorali su cui si indaga per accertare il condizionamento: comunali di Latina del 2011 e del 2016, politiche e regionali del 2013 a Latina e Terracina, comunali di Latina e Terracina del 2016. L’agro nero, fascista per eccellenza, potrebbe aver svenduto la democrazia in quei momenti elettorali e ciò sarebbe persino più grave che scoprire che ormai tutto il comprensorio e sotto lo schiaffo di diverse organizzazioni criminali che già inquinano l’economia e l’ambiente.

(Nella foto l’agguato con un fucile da guerra allegata agli atti del processo ai Gangemi e cui fa riferimento il Procuratore Prestipino)


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