La regina delle tenebre al 37. Torino Film Festival: Barbara Steele vampira, strega, spettro e amante demoniaca

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Ci sono tanti modi per presentare un festival del cinema. Uno dei più semplici è quello di partire da un attore, un film particolare, un regista, una retrospettiva, o analizzandone il programma ufficiale. Quando, poi, gli organizzatori decidono di invitare un personaggio cinematografico che per le sue peculiarità può dare un significato caratterizzante all’intera rassegna, allora anche noi non possiamo esimerci, al pari di altre testate, di scriverne. Soprattutto quando abbiamo a disposizione una figura fuori dal comune per la sua iconicità. Il suo volto bello e inquietante campeggia nell’immagine ufficiale del 37. Torino Film Festival (22-30 novembre). E’ Barbara Steele, ospite specialissima, sia come madrina della retrospettiva “Si può fare!”, sia per ricevere il Gran Premio Torino la sera di mercoledì 27, in occasione della proiezione del film La maschera del demonio di Mario Bava (1960), di cui lei è stata protagonista.

Emanuela Martini, la direttrice del TFF, nelle note stampa per la presentazione dell’ottantenne attrice inglese (“Alta, sinuosa, viso ovale marcato da punte aguzze, occhi enormi”) ci ricorda che lo scrittore e regista horror Clive Barker ha detto di lei: “Fa quello che poche attrici sono capaci di fare: vi fa vedere sia la distruzione che il piacere nello stesso paio di occhi”. Ce lo confermano le prime sequenze del film di Bava, quando la macchina da presa si sposta dagli occhi della strega legata al patibolo alla S marchiata a fuoco sulla sua schiena e di nuovo sul suo sguardo infiammato di rabbia, rancore, odio e sofferenza. Ce lo ribadisce il suo doppio, la dolce Katia, ammaliando il dottore (“Che tristezza nei suoi occhi”) e turbandolo con il suo seducente corpo: e che scena quella in cui lei giace priva di sensi e la cinepresa inquadra il crocefisso che si si insinua nel décolleté!

Indimenticabile Barbara Steele. Che gioia rivedere il film sul grande schermo, dove tutto appare nella giusta misura per apprezzare una bella storia e un’attrice di rara bellezza. Ispirato dal racconto Vij di Gogol, Bava con gli sceneggiatori Ennio De Concini e Mario Serandrei riprende le figure fantastiche dello scrittore russo (la strega e il vij) modificando non poco la storia e costruendo un horror di grande impatto visivo ed emotivo. Due medici in viaggio nell’Europa orientale dell’800 fanno resuscitare involontariamente Asa, una strega uccisa dagli inquisitori due secoli prima, trafitta da una maschera demoniaca, come il suo amante. Il più giovane dei due rimane impressionato dalla bellezza della ventunenne Katja Valda e farà di tutto per salvarla dalle grinfie della strega che vuole impadronirsi della pronipote per continuare a vivere. Asa, identica in tutto tranne che nei modi e nel carattere a Katja, ingaggia una lotta infernale insieme al complice da lei fatto resuscitare per giungere al suo traguardo: avere vita eterna. La maschera del demonio è un gioiello dell’horror mondiale. Mai il cinema italiano si era confrontato in questo modo così geniale con tutto l’armamentario della paura (carrozze nere come l’inferno, vegetazione intricata e orribile, porte cigolanti, passaggi segreti, castelli diroccati).

A distanza di anni si rimane impressionati dalla qualità delle scene e della fotografia (di Bava stesso), raffinatissima per il cinema di quegli anni, con luci e ombre che “duellano” creando effetti particolari, una sorta di “nitore dell’oscurità” che fa da adeguata pendant alla storia. Le tematiche affrontate (vita/morte, il doppio, l’erotismo), rendono il film un affascinante melodramma gotico, che ha permesso a Mario Bava, qui al suo primo vero film, di essere considerato negli anni a venire un regista di culto, e a Barbara Steele di avere il meritato successo. Da allora la splendida inglese, che aveva iniziato l’attività artistica sostanzialmente per guadagnarsi da vivere nella cupa Londra (parole sue) del secondo dopoguerra, è divenuta una icona del cinema (e non solo di genere) recitando per registi come Corman, Schlöndorff, Demme, Malle, Cronenberg, Dante, ma anche per Fellini (Gloria in 8 ½) e per Monicelli (la principessa bizantina ne L’armata Brancaleone). Come le vittime di Asa, anche noi vorremmo incrociare i grandi occhi di Barbara Steele, nell’attesa delle sue parole di strega:“Guardami fisso!”


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