Una mutilazione familiare

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di Vincenzo Terranova

In viaggio - Mag 1968 2

Il giudice e la moglie Giovanna durante un viaggio – L’autore del testo è il nipote Vincenzo Terranova

Ci sono eventi funesti che restano impressi nella memoria per immagini forti e dense, con una potente valenza simbolica ed evocativa del dramma vissuto.
Ecco, a quel 25 settembre 1979 mi riportano con immediatezza un paio di occhiali neri, indossati da mio padre Tullio, che mai li aveva portati, subito dopo avere appreso dell’assassinio del fratello. Quel gesto, tra la rabbia e il dolore fu accompagnato da laconiche parole: schermate dalle lenti scure forse anche per non accentuare l’ansia mia e della più piccola, sorella.
Il nero di quelle lenti aveva improvvisamente oscurato una bellissima giornata di settembre. Dopo un lungo viaggio in macchina il sole si riaffacciò durante il passaggio sullo Stretto ma ormai eravamo soli con noi stessi, muti, squassati dalla sofferenza: questa era per noi figli moltiplicata pensando al dolore di mio padre, per il quale il fratello maggiore era un riferimento forte, un approdo sicuro, un gioioso inesauribile compagno di vacanze e di momenti ludici, una rappresentazione vivente della sua Sicilia, da cui Tullio si era allontanato dopo la laurea, per le nebbie del nord e l’avvio al lavoro.
Cesare, con la sua fierezza, la sua solare energia e passione, la sua umanità era in effetti un monumento alla terra sua e del fratello. E per il fratello dovette essere terribile il vile abbattimento di tale monumento e noi avvertimmo la mutilazione violenta patita da nostro padre. Spesso la morte sortisce un effetto moltiplicatore, legato alla rete di rapporti nella quale siamo avvinti e all’intensità di essi.
Ci sono nelle abitazioni i cosiddetti muri portanti, quelli che non si possono rimuovere, che è pericoloso anche solo intaccare: ecco, Cesare era per Tullio, per la sua famiglia di origine, per tutti noi un muro portante. E alla caduta di un ‘muro portante’ e così al crollo della casa noi tutti pensammo dietro e accanto a quelli occhiali neri di Tullio. Probabilmente la mafia uccise Cesare Terranova proprio perché era un muro portante, come poi ne colpì altri, rappresentati da valenti e coraggiosi servitori dello Stato.


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