Sinodo dei giornalisti, ovvero “camminare insieme” per un’informazione di qualità

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L’idea presentata da Giuseppe Giulietti di un “sinodo dei giornalisti” è suggestiva e proprio per questo va capita bene. Sinodo, come si sa, vuol dire “camminare insieme”. Bisogna dunque rispondere alla domanda “insieme a chi, o tra chi”? C’è poi la storia del termine che obbliga a porsi altre domande.  In origine, nell’antica Grecia, il “sinodo” era semplicemente l’assemblea, normalmente i testi di storia ne parlano per la lega achea. Poi il termine è stato fatto proprio dal linguaggio ecclesiale e rimanda un’idea di partecipazione, di coinvolgimento rispetto a una struttura gerarchica, verticistica, visto che da noi normalmente ci si riferisce al riguardo  alla Chiesa cattolica.  Ma in Russia il “santo sinodo” è stato un organismo amministrativo voluto dallo zar Pietro il Grande per assicurare la dipendenza dello Chiesa dallo Stato, visto che limitava se non eliminava un’altra autorità, quella del patriarca di Mosca. Insomma, nel caso russo il sinodo servì all’esatto contrario di quanto noi normalmente indichiamo pensando alla “sinodalità”. Questo per dire che il vocabolo, come spesso accade, non salva da solo. In un mondo culturalmente verticista come quello cattolico il sinodo è stato però sinonimo di quello che auspica Giulietti. Proviamo allora a capirci facendo un esempio cattolico e sostituendo poi lo specifico della Chiesa cattolica con lo specifico giornalistico inteso ovviamente in termini non confessionali.  Dunque di quale sinodo stiamo parlando? Del sinodo che vuole creare la cultura, l’idea di società dal basso, o del sinodo che la vuole uniformata a quella del vertice?

Quando la Chiesa cattolica decise di imboccare la via profondamente innovativa del Concilio Vaticano II anche le Chiese locali pensarono a forme di coinvolgimento “sinodale”, prospettiva sin lì esclusa dalla vita della Chiesa. E nel 1976 ebbe luogo il promo convegno ecclesiale italiano. In un suo recente scritto padre Bartolomeo Sorge ha citato questo passaggio del documento conclusivo: “Di fronte alla vastità dei problemi e alla loro complessità, risulta chiaro che la risposta pastorale della Chiesa italiana non può essere più affidata alla stesura di un documento fatta da alcuni esperti, né alla decisione dell’una o dell’altra componente del Popolo di Dio. Affinché la presa di coscienza maturata nella preparazione e nella celebrazione di questo Convegno nazionale non svanisca nel nulla o non resti frustrata, è necessario dar vita a strutture permanenti di consultazione e di collaborazione tra vescovi, rappresentanti delle varie componenti della comunità ecclesiale ed esperti provenienti da tutti i movimenti di ispirazione cristiana operanti in Italia. È urgente offrire alla nostra comunità ecclesiale un luogo di incontro, di dialogo, di analisi e di iniziativa che, da un lato, traduca nei fatti il nesso inscindibile tra evangelizzazione e promozione umana, tanto efficacemente evidenziato dal Convegno, e, dall’altro, superi in radice l’impossibile divisione tra “Chiesa istituzionale” e “Chiesa reale” con la conseguente minaccia della costituzione in Italia di due Chiese parallele che non si incontrano più.”

Proviamo a tradurlo come sollecitazione del sinodo dei giornalisti: “ Di fronte alla vastità dei problemi e alla loro complessità risulta chiaro che la risposta operativa dei giornalisti italiani non può essere più affidata alla stesura di un documento fatta da alcuni esperti o da alcune assemblee territoriali. Affinché la presa di coscienza maturata nella preparazione e nello svolgimento di questo Sinodo nazionale dei giornalisti non svanisca nel nulla o non resti frustrata è necessario dar vita a strutture permanenti di colluttazione e di collaborazione tra i vertici delle strutture territoriali del sindacato dei giornalisti, rappresentanti dei tipografi, dei fotografi, i blogger, i disoccupati, i precari, i traduttori, i tecnici, i lettori ed esperti provenienti da tutti i mondi coinvolti nella comunicazione. E’ urgente offrire alla nostra comunità un luogo di incontro, di dialogo, di analisi e di iniziativa che, da un lato, traduca nei fatti il nesso inscindibile tra informazione e promozione umana, e dall’altro superi in radice l’impossibile divisione tra impegno istituzionale e impegno reale con la conseguente minaccia della costituzione di due mondi paralleli che non si incontrano più.”

In definitiva l’idea di Giulietti propone di andare oltre l’esperienza sindacale di un categoria che riflette sui problemi, sui propri bisogni, sui propri problemi e andare verso un’azione che incida sui propri comportamenti, sulle proprie priorità, sulla propria rappresentazione della realtà.

A mio avviso dunque per essere un sinodo quello dei giornalisti dovrebbe essere un appuntamento che parte dalla ricerca dei motivi per cui oggi tanta gente comunica, scrivendo in modo che teoricamente chiunque può leggere. Lo fa quotidianamente sui social media e attraverso i social media. Perché? E quanto incide sulla rappresentazione e percezione della realtà questa azione compiuta da milioni di giornalisti non professionisti? Quante buone e cattive intenzioni la animano, la ispirano, la condizionano, finendo poi con il condizionare anche l’azione professionale?

Non sono certo di aver colto il punto della proposta del Presidente della FNSI ma oggi non c’è dubbio che il significato stesso di comunicare è cambiato, ovvio che il mondo della comunicazione debba domandarselo. Viviamo in un contesto in cui tutti comunicano ma le edicole spariscono, i giornali non si trovano più neanche nelle stazioni ferroviarie, per non dire tra le mani dei passeggeri dei treni. Eppure moltissimi mentre non leggono un giornale sono connessi, cioè stanno comunicando. Bisogna riportare l’informazione nel mondo della comunicazione e chi vive di comunicazione non dovrebbe pensare di poterlo fare da solo, ma camminando insieme agli altri, tutti comunicatori sebbene in diverso modo. Anche perché questi mondi non possono separarsi.


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