Albania, giornalismo all’ombra della censura

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Con la nuova stagione alle porte, i palinsesti televisivi albanesi si rinnovano, ma il panorama mediatico rimane invariato e i dubbi su episodi di pressioni e censura sono in aumento

News24 è il primo e più seguito canale all news in onda 24 ore su 24 – con ascolti che oscillano tra il 5.36 e l’8.99% dello share – ed è parte di un importante gruppo mediatico che conta anche una radio, due quotidiani, una rivista mensile e uno dei siti di informazione più visitati del paese.

“News24 non è un’impresa, ma un investimento per la società, per dare voce ai più deboli. Dove chi non ha potere trova sostegno e chi non ha speranza trova un’opportunità”, affermava due anni fa l’imprenditore Irfan Hysenbelliu, presidente della rete, alla cerimonia per i 15 anni dell’inizio delle trasmissioni.

News24 è anche parte di un gruppo societario che conta diverse imprese edili, una catena di alberghi, un’università privata e alcune aziende nel settore delle bevande, un impero che – come ha rivelato il rampollo di famiglia alle telecamere del TG2 in un reportage sui milionari d’oltre Adriatico  – oggi vale mezzo miliardo di euro.

In vista della nuova stagione televisiva, i vertici di News 24 hanno annunciato una ristrutturazione della rete e diverse novità nella programmazione. Un rinnovamento che però è passato dalla sospensione di due talk show notoriamente critici nei confronti dell’attuale maggioranza di centrosinistra guidata dal Premier Edi Rama, alimentando voci di pressioni ai massimi vertici del gruppo mediatico.

La linea sottile tra rinnovamento e censura

La prima a fare le spese del rinnovamento è stata la trasmissione investigativa e di dibattito politico “Te Paekspozuarit” (I non esposti) di Ylli Rakipi, che ospitava regolarmente opinionisti molto noti e molto critici, e che lo scorso dicembre aveva mandato in onda una formidabile inchiesta su due gare d’appalto dal valore complessivo di 30 milioni di euro, aggiudicate dalla società DH Albania con documentazione falsa. Si è scoperto poi che dietro alla DH si nascondeva Gener 2, una delle principali società edili del paese, nonché, da un anno, entrata nel settore mediatico aprendo una sezione distaccata della CNN a Tirana. Un caso di corruzione ma anche una sorta di promemoria, neanche ce ne fosse bisogno, per ricordarci del filo che anche in questo caso lega imprese e media.

Insomma, dopo una stagione rimasta alla cronaca per una delle migliori inchieste dell’anno, invece di essere promossa la trasmissione è stata sospesa. E la stessa sorte è toccata agli altri due talk politici e di intrattenimento della rete, critici anche questi. News24 ha infatti cancellato “A Show”, del giornalista Adi Krasta, di cui rimarranno comunque nel tempo una serie di monologhi al vetriolo sulla situazione attuale del paese, diventati virali nel corso di tutta la stagione.

E infine, anche se se n’è parlato meno, sembra che sia saltato anche il talk “Dritare” (Finestra) della giornalista e scrittrice Rudina Xhunga, programma in onda – su canali diversi – da vent’anni.

Se Krasta e Xhunga hanno mantenuto il massimo riserbo, Rakipi ha invece parlato di regime, pressioni del governo e intimidazioni agli ospiti di non partecipare alla trasmissione.

“Nessun governo, né questo né quello precedente, ha osato farmi pressioni”, ha invece ribattuto il presidente Hysenbelliu per BIRN  , respingendo ogni accusa e affidando quattro prime serate a settimana ad un programma sempre di dibattito politico, ma assai più accomodante rispetto agli altri tre.

Da parte sua, Rakipi ha comunicato che il suo programma riprenderà a breve presso la meno prestigiosa Syri Tv, le cui trasmissioni – conferma il beninformato gossip televisivo di Tirana – sono generosamente offerte dalla famiglia dell’ex Premier e leader del centrodestra Sali Berisha, a confermare l’altro filo diretto che lega i media alla politica.

Censura o no, l’indipendenza manca

“Il rapporto finale della missione di valutazione elettorale dell’ODIHR sulle amministrative del 30 giugno scorso descrive Top Channel e Klan Tv, come favorevoli al governo socialista, mentre allinea News24 a favore dell’opposizione”, osserva per OBCT Gjergj Erebara, redattore della sezione albanese di Balkan Investigative Reporting Network e da sempre in prima linea a difesa della libertà di stampa.

Secondo i risultati di un rapporto della rivista Monitor  sulle entrate delle televisioni albanesi nel 2018, dati che confermano quanto emerso in un precedente studio sulla concentrazione dei media  , Top Channel e Klan sono le due principali televisioni generaliste del paese che insieme controllano il 67% del mercato mediatico. In quattro, insieme quindi a Vizion Plus e News24, volano oltre l’84%.

“Sebbene non ci siano prove a suggerire delle pressioni dirette da parte del governo su News24 – prosegue Erebara – il fatto che le ultime due trasmissioni critiche nei confronti del governo siano state chiuse dimostra che ci troviamo in una situazione senza precedenti anche per gli standard albanesi. In passato c’erano media a favore o contro il governo. Ora questi ultimi sembrano latitare”.

Alla concentrazione dei media nelle mani di poche persone, Erebara aggiunge poi anche il problema della “concentrazione interna delle risorse verso la tabloidizzazione della stampa”, una virata verso un’informazione superficiale e di semplice intrattenimento. Un appello, quindi, a “non temere solo per la sopravvivenza dei media, ma per quella del giornalismo stesso”.

È anche una questione di business

“La pressione più grande che i media devono affrontare è quella finanziaria. L’Albania oggi è un paese libero, in cui è possibile esprimere apertamente le proprie opinioni, ma i media sono imprese, e sostenerle non è facile in una realtà in cui il mercato pubblicitario è limitato, mentre abbonamenti e sostegno diretto dei cittadini non sembrano aver funzionato”, ci dice Fatoja Mejdini, giornalista freelance e autrice di una serie di reportage e inchieste che nel giornalismo albanese hanno fatto scuola.

In un simile contesto, il governo assume un ruolo sempre più rilevante per gli organi di stampa, sostiene Mejdini. “Se il governo diventa il principale inserzionista, è chiaro che i media tenderanno ad allinearsi”.

Una fedeltà quindi al finanziamento, che in un paese in cui, a partire soprattutto dagli anni 2000, gli interessi delle aziende hanno completamente ridisegnato il quadro mediatico, tende a non distinguere tra destre e sinistre. In molti casi, la stampa è un’estensione solo complementare dell’attività commerciale, ed è il motivo per cui molti imprenditori si trovano oggi ad essere sempre più vicini al potere, a prescindere dai partiti che lo esercitano.

Lo stesso vale anche per realtà più piccole, come gli oltre 800 siti di informazione attualmente attivi in Albania, a volte di proprietà degli stessi giornalisti. “Anche le loro entrate dipendono dalla pubblicità e le imprese non fanno esattamente la fila per sostenere siti che producono un’informazione indipendente. È il motivo per cui gli esempi di giornalismo più coraggioso giungono da media non-profit, sostenuti da donatori stranieri”, spiega Mejdini.

La censura è nell’aria

Per quanto sia difficile parlare ogni volta di censura – troppo è il non detto dei giornalisti albanesi per non arrivare a conclusioni verosimili – la situazione della stampa nel paese sembra comunque andare deteriorandosi, come confermato anche dall’ultimo rapporto  di Reporter Senza Frontiere, che ha visto l’Albania retrocedere di 7 posizioni nell’indice sulla libertà di espressione, classificandosi 82° tra 160 paesi, prevalentemente a causa degli insulti, minacce e dei procedimenti giudiziari messi in atto con l’intento di intimidire i giornalisti.

Gli interessi economici dei proprietari da un lato, i rapporti col governo dall’altro, e in mezzo gli stessi giornalisti che consci degli affari dei loro editori decidono di non andargli contro. “È un clima che produce molta autocensura, dove cercare di scavare più a fondo spesso potrebbe fargli perdere il lavoro”, dice Mejdini.

E proprio su autocensura, intimidazione e minacce sempre più dirette, che si insinuano anche nel personale, mette ancora in guardia Erebera, sottolineando che i giornalisti sono soggetti alle pressioni degli editori anche se informano sui propri social su quei fatti che sugli schermi non arrivano.

“Parlando con i giornalisti, la loro impressione è che il governo monitori regolarmente anche i loro account personali nei social network. Ancora una volta, sono fatti difficili da dimostrare, ma la stessa esistenza di una tale sensazione tra i giornalisti – conclude amaramente Erebara – è sufficiente per condurli all’autocensura”.


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