Emanuela Orlandi e l’illusione delle tombe teutoniche

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Bolle di sapone sopra piazza S. Pietro. Ieri mattina la Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato la prossima apertura di due tombe del Cimitero Teutonico per verificare l’eventuale presenza al loro interno dei resti di Emanuela Orlandi. Una notizia che ha scalato in fretta le vette dei mezzi d’informazione, ma che ha ottime probabilità di rivelarsi un altro salto nel vuoto delle illusioni che si sono succedute negli anni su questa vicenda, aumentandone il dolore.

Perché se l’accoglienza, da parte dell’Ufficio del Promotore di Giustizia della Città del Vaticano, di una delle istanze presentate nei mesi scorsi dai legali della famiglia Orlandi indurrebbe a pensare di essere davanti a una ‘Svolta’, è quasi certo che questa non sia nella direzione auspicata da coloro che hanno interesse a conoscere la verità sulla sorte della giovane cittadina vaticana scomparsa a Roma nel 1983. E questo non per pessimismo, disfattismo o tanto più improvviso filo-vaticanismo da parte nostra. Quanto perché lo suggeriscono il ragionamento, la logica e un pizzico di buonsenso.

Situato sul territorio vaticano, nel cimitero teutonico possono essere sepolte personalità germaniche e fiamminghe che hanno prestato servizio alla Chiesa e che sono morte a Roma. Assodato che Emanuela Orlandi ufficialmente non vi si può trovare e che quindi il suo nome non è nei registri delle tumulazioni, le sue spoglie potrebbero esservi state introdotte solo per via clandestina. Essendo però – come sopra scritto – zona extraterritoriale, anche per un’azione simile servirebbe il benestare del Vaticano. Solo che, se ciò fosse successo e quindi dentro quelle tombe ci fossero i resti di Emanuela, la sconvolgente scoperta equivarrebbe almeno a una sua partecipazione al loro occultamento. Perché mai l’avrebbe fatto? E insieme a chi? Ma soprattutto: concedendo il suo benestare e ritrovando le spoglie, il Vaticano ammetterebbe una sua parte di responsabilità nella scomparsa della ragazza, inguaiandosi da solo perché si troverebbe a dover spiegare ai fedeli di tutto il mondo come mai, per decenni, avrebbe tenuto in casa quel corpo senza dire niente a nessuno. In particolare alla mamma di Emanuela, che più volte ha invocato la verità. Un danno d’immagine enorme, che infliggerebbe un altro duro colpo alla credibilità della Chiesa, già fortemente minata dalla pedofilia e dagli scandali finanziari.

E se invece nelle tombe non ci fosse niente della povera Emanuela? Beh, tutt’altro scenario. E il paradiso dal cielo scenderebbe fra le Mura Leonine. Perché accusate – a ragion veduta, ndg – di marmorea reticenza e caudina insensibilità per decenni, in un colpo solo dimostrerebbero una mentalità diametralmente opposta, collaborativa con le suppliche della famiglia e dell’opinione pubblica, e soprattutto la loro estraneità dalla vicenda. Nella quale cadrebbero in piedi e per la quale, da quel momento in avanti, non potranno che solidarizzare a parole con il dolore senza che nessuno possa muoverli più appunti. Perché potranno sempre dire: “Noi vi abbiamo fatto guardare in casa nostra come ci chiedevate. Però non c’era niente. Quindi ora, cortesemente, andate a cercarla da un’altra parte”. E a quel punto, se non si disporrà d’indizi più sostanziosi di lettere anonime dal contenuto immaginifico come quella che ha originato quest’apertura (calendarizzata l’11 luglio), sarà molto arduo controbattere. Sotto il Cupolone hanno molti difetti, ma non quello della sprovvedutezza. E se si sono messi a disposizione per questa verifica, è perché sono consapevoli che non ne rimarranno danneggiati.

Tra l’altro, quale malfattore, consapevole del proprio misfatto, inviterebbe le vittime a guardare dentro casa sua facendogli trovare le prove della sua colpevolezza? Giusto Raskolnikov, il protagonista dostoevskijano di Delitto e Castigo. Ma la Storia insegna anche che fra le Sacre Stanze e la Russia non c’è mai stato un grande feeling…


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