“Usare termini precisi è un dovere professionale, non un vezzo”. Il ‘Manifesto di Venezia’ ieri a Rovigo

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Una cronaca rispettosa delle persone e della verità sostanziale degli avvenimenti è anche uno strumento per contrastare la violenza di genere. Un tema che è stato approfondito ieri a Rovigo al Museo dei Grandi Fiumi nella giornata di approfondimento sul Manifesto di Venezia che ha riempito di giornalisti e operatori sociali l’ampia platea della sala Flumina. L’iniziativa è stata promossa da Centro antiviolenza del Polesine, Sindacato giornalisti del Veneto (Sgv), Associazione stampa polesana (delegazione territoriale Sgv), Articolo 21 Veneto, Caritas diocesana Adria e Rovigo, Informazione Sociale. Dopo i saluti di Luca Gigli (presidente di Assostampa Rovigo) e Maria Grazia Avezzù (presidente del comitato di pilotaggio del Centro antiviolenza del Polesine), i lavori sono stati introdotti da Nicola Chiarini (portavoce Articolo 21 Veneto e componente giunta Sgv). Le prime riflessioni sono state rivolte ai partecipanti da Loredana Arena, psicologa psicoterapeuta del Centro antiviolenza del Polesine. “Il nostro centro – ha spiegato – offre ascolto, sostegno, supporto, condivisione perché nessuna si senta sola di fronte alle diverse forme di violenza e possa porvi fine. La violenza non è solo fisica, può essere economica, psicologica, sessuale o, ancora, espressa in forma di mobbing, stalking, atti persecutori”. La sola struttura rodigina nell’ultimo anno ha accolto 72 donne, nella maggior parte dei casi colpite insieme ai figli da mariti o conviventi.
Questioni alle quali si è agganciata Monica Andolfatto. “Usare termini precisi è un dovere professionale, non un vezzo – ha sottolineato la segretaria Sgv, cronista del Gazzettino e promotrice del Manifesto di Venezia – non vanno usate espressioni lesive, irrispettose, denigratorie della dignità delle donne, a maggior ragione quando queste si trovano a essere vittime di violenza. Per esempio, è fuorviante usare termini come “amore”, “raptus”, “follia”, “gelosia”, “passione”, se accostati a episodi criminali dettati dalla volontà di possesso e annientamento”. Così come, ha rimarcato sempre Andolfatto, vanno usate correttamente le declinazioni femminili delle qualifiche professionali “come definito nella lingua italiana che non prevede il genere neutro e, nella grammatica, stabilisce le regole per declinare il maschile e il femminile”. E che le parole determinino percezioni e azioni è stato spiegato da Giulia Cananzi che ha proposto il metodo del giornalismo costruttivo. “Non è vero che i lettori cerchino necessariamente l’aspetto negativo delle notizie – ha detto la giornalista del Messaggero di Sant’Antonio – privilegiare un lavoro di cronaca che racconti i problemi facendo emergere le soluzioni praticabili, ne rafforza la funzione di servizio. E’ una chiave di rilancio per nostra professione attraverso la qualità e un rafforzamento dell’autorevolezza, spesso svilita da sensazionalismi e titoli urlati”.

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