L’immunità parlamentare che non ha senso

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Rocco Artifoni 

Se in Italia fosse stata applicata seriamente la dottrina della divisione dei poteri, il problema dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini non si sarebbe posto.

È il caso di rammentare che la Costituzione prevede l’eventuale immunità (art. 68) esclusivamente per i parlamentari e non per i membri del governo. Per i reati commessi da questi ultimi (art. 96) è prevista la giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Parlamento. Matteo Salvini è sia ministro sia senatore: questa duplice appartenenza genera alcuni equivoci per diverse ragioni.

Anzitutto occorre ricordare che Matteo Salvini è sotto indagine per scelte effettuate in qualità di ministro e non come senatore. Il tribunale dei ministri (un apposito nucleo della magistratura) ha chiesto al Senato l’autorizzazione per il rinvio a giudizio.

La ratio dell’art. 96 della Costituzione prevede che il potere legislativo possa fare da “arbitro” tra il potere giudiziario e il potere esecutivo, per escludere eventuali intenti persecutori (il cosiddetto “fumus persecutionis”).

Ma se chi è soggetto all’indagine giudiziaria fa anche parte dell’organo che deve decidere, la partita è truccata, poiché l’arbitro non è imparziale.

Dopo la consultazione della base del Movimento 5 Stelle, la giunta per le immunità del Senato ha deciso di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’interno. Entro il 24 marzo si dovrà pronunciare l’aula del Senato, ma l’esito del procedimento appare scontato.

Secondo problema: nei primi 6 mesi di governo Matteo Salvini ha disertato quasi totalmente i lavori del Senato. Openpolis ha calcolato che ha partecipato alle votazioni con una percentuale del 2,52%. È evidente che chi fa il ministro non ha tempo per fare anche il parlamentare.

Attualmente oltre il 75% dei membri del governo fanno anche parte del parlamento e questo, per ovvi motivi, limita fortemente la loro capacità di partecipare ai lavori dell’aula. Il rimedio sarebbe semplice: che i ministri si dimettessero da parlamentari sia per rispetto della funzione ricoperta (e del compenso percepito) sia per la distinzione di ruoli che la divisione dei poteri richiederebbe.

Montesquieu su questo punto è stato chiarissimo: «Se il potere esecutivo fosse affidato  a un certo numero di persone  tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà, perché i due poteri sarebbero uniti, e stesse persone avendo talvolta parte,  e sempre potendola avere, nell’uno e nell’altro». Peccato che questa saggia prescrizione sia regolarmente ignorata da tutti i governi, compreso quello attualmente in carica.

Ultima annotazione: purtroppo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura in Italia è sempre stata limitata quando le indagini hanno riguardato la politica. Qui possiamo fare una distinzione: tra quelli che sono sempre stati coerenti nel ritenersi al di sopra del giudizio dei magistrati (Berlusconi) e gli altri che in campagna elettorale proclamano la piena fiducia nell’operato della magistratura, salvo poi gridare al complotto e contraddirsi quando il problema li riguarda direttamente o coinvolge i propri alleati.

Ciò dimostra che aveva ragione chi… Continua su liberainformazione


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