Ancora sei mesi e poi Radio Radicale dovrà chiudere i battenti…

0 0

Ancora sei mesi e poi Radio Radicale dovrà chiudere i battenti. Detta così sembra incredibile, come stesse chiudendo la Biblioteca nazionale, il museo di Pompei, il Tribunale di Napoli. Possibile? Sì, in base ad una piccola, semplice, norma che ha ridotto del 50% il finanziamento pubblico e che sostiene la convenzione vigente da venti anni e prevede la trasmissione dei lavori parlamentari oltre che dei processi penali più importanti. Il contributo è passato da 10 a 5 milioni di euro e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicamene invitato Radio Radicale a cercare sul mercato le altre risorse finanziarie necessarie.
“Nelle frasi del Presidente ci sono più imprecisioni. – dice Paolo Chiarelli, amministratore delegato di Radio Radicale – La prima riguarda proprio il rapporto col mercato, in Italia non esiste un mercato per il servizio pubblico. E d’altra parte noi se volessimo fare una radio da mercato faremmo altro, tipo trasmissioni musicali, invece mandiamo in onda le sedute del Parlamento che sono altro. E’ come se dicessimo che le biblioteche pubbliche si debbono mantenere con il mercato. Peraltro lo stesso Governo, nel medesimo provvedimento, riconosce il ruolo di un servizio pubblico e quindi da un lato taglio della metà il finanziamento a Radio Radicale, dall’altro aumenta  i fondi per la Rai (80 milioni di extragettito), riconoscendo il ruolo e la necessità di un servizio pubblico che costa due miliardi l’anno. E lì non si mette in discussione il finanziamento pubblico”.
Sempre a proposito di mercato. Ammettiamo che cerchiate e troviate inserzionisti, è evidente che poi questi vorranno incidere sulla linea editoriale, no?
“Beh questo è un passaggio ulteriore ed è nella logica, appunto, del mercato. Ma io dico che va considerato cosa fa la nostra radio. Noi abbiamo questa convenzione perché facciamo ciò che la Rai non fa. Quando entrò in vigore la legge Mammì era previsto che una delle reti fosse dedicata ai lavori del Parlamento. Noi lo facevamo già allora e per questo abbiamo avuto la convenzione e la stiamo rispettando. Per vent’anni abbiamo trasmesso le sedute di Camera, Senato, Commissioni e tutto questo oggi è patrimonio pubblico, gratuito per tutti. Questo è il servizio pubblico di cui stiamo parlando e ciò che ora è in pericolo”
Come è possibile non comprendere il valore pubblico di ciò che fa Radio Radicale? Chi prende queste decisioni non è un vostro ascoltatore o c’è altro?
“Francamente credo che ci sia molta confusione e anche qualche carenza di conoscenza. E’ importante far comprendere cosa si potrebbe perdere con la fine di Radio Radicale. Chi decide? Mi sembra che chi assume queste decisioni abbia la necessità di assecondare i propri elettori e di dire loro ‘guarda, stiamo facendo ciò che avevamo promesso’ e in ciò si potrebbe concretizzare il rischio di buttare via anche cose importanti cui tengono gli stessi autori delle decisioni. Insomma hanno grossi problemi a spostarsi da alcune promesse feticcio. Poi c’è anche un altro aspetto. Penso che forse alcuni, tipo il Movimento Cinque Stelle, non abbiano capito cosa va tagliato e cosa no. Fare un taglio di questo genere significa non sapere bene cosa si sta tagliando”.
E’ sicuro che non capiscano?
“Non lo so, ho la sensazione che non riescano a spostarsi da cose che hanno promesso in campagna elettorale, tipo, appunto, i taglio sui fondi per l’editoria”
Eppure i 5 Stelle sulla questione migranti hanno fatto capriole e seguito la Lega
“Il punto è cercare di far capire cosa si rischia di perdere con questa scelta sui tagli all’informazione e a un servizio come quello che fa Radio Radicale. Parlo di noi: siamo una sorta di archivio nazionale. Dagli anni 80 seguiamo lavori parlamentari e processi penali in tutti i gradi, fino alla Cassazione. Noi registravamo le udienze quando non la facevano neppure i Tribunali e oggi quel materiale è importantissimo. Spesso anche i giudici ci chiedono parti di alcune registrazioni e siamo gli unici a poterle fornire. Ora tutto questo è pubblico e indicizzato e grazie alla tecnologia vi si può accedere  in modo veloce e semplice. Abbiamo seguito 23.505 udienze di processi penali”

Facciamo un elenco incompleto di questi processi?
“Mah sono davvero tantissimi, tutti i più importanti. Trattativa Stato-mafia, Mafia Capitale, Cava Resit, caso Cucchi e in tutti i gradi di giudizio perché la nostra filosofia è raccontare una storia giudiziaria che nei diversi gradi può cambiare e spesso cambia”
Si può tornare indietro? Si può evitare di perdere questo racconto “in diretta” del Paese e l’archivio della nostra Storia?
“Non lo so. Io ho parlato con i rappresentanti parlamentari che si sono occupati di questi tagli ed è stato difficile spiegare che il taglio di 5 milioni ci farà sopravvivere fino a giugno, ma almeno abbiamo ottenuto sei mesi di ossigeno. All’inizio era previsto un taglio netto e avremmo chiuso il primo gennaio 2019, ora abbiamo sei mesi per far comprendere cosa c’è in ballo. Lo scorso anno abbiamo avuto costi per 12 milioni di euro, non si può andare avanti con una decurtazione di questo tipo”.
Perché questa “furia” contro i fondi per il pluralismo dell’informazione?
“Forse perché si antepone a tutto l’esigenza di risparmiare o forse perché una certa parte dell’opinione pubblica vuole sentire che non si ‘regalano’ più soldi pubblici. Ma il punto non è dare o meno soldi pubblici, bensì per cosa si danno i soldi pubblici. Il finanziamento pubblico non è un male in sé, dipende da cosa ottieni in cambio. Stiamo parlando di informazione e la materia è assai delicata, va spiegato e va compreso”.

Ma davvero i giornali e i giornalisti sono la prima emergenza del Paese? Le nostre emergenze non erano mafie, corruzione, evasione fiscale?
“Anche qui rilevo contraddizioni. La parte politica che insiste e decide sui tagli non ce l’ha con tutti i giornalisti, vedi infatti l’aumento dei fondi per la Rai. Sono nel mirino i fondi per i giornali e non si può escludere che ciò vada incontro al sentimento di uno strato della popolazione che attribuisce ai giornali un modo sbagliato di raccontare. Anche qui si sta assecondando un segmento di elettori. Ci saranno anche stati errori, in passato non si può negare che sia esistito un uso sbagliato dei fondi. Però il taglio messo in campo può essere molto pericoloso”.
E’ ipotizzabile che anziché risparmiare si spostino risorse sulle piattaforme e che tutto questo incida sulle scelte elettorali e democratiche? Ci sono già ‘tracce’ in tal senso
“Questo si vedrà, non si può escludere. Vediamo cosa accadrà e come si muoveranno le scelte sulle risorse”-


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21