Razzismi 2.0. Uno strumento per insegnanti, pedagogisti e politici per comprendere come contrastare l’odio in rete diventando più cittadini

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Chiunque di noi abbia esperienza nell’uso di internet o dei social network ha avuto modo di preoccuparsi di come il linguaggio ed i toni delle conversazioni molto spesso raggiungano livelli di insulto e maleducazione che, per fortuna, molto difficilmente si riscontrano in conversazioni che avvengono senza uno schermo di mezzo. Questo fenomeno è particolarmente rilevante se si osserva l’uso di stereotipi o di frasi razziste.  Gli allarmi sono tanti, molti di meno invece appaiono i tentativi di dialogare con i ragazzi che si rendono protagonisti di tali episodi e di provare a trovare delle strategie per promuovere gli anticorpi della Rete e l’attivismo digitale di cittadini che devono essere formati come agenti morali capaci di soggettività critica, attraverso l’assunzione di responsabilità personale.

Per questo è importante il lavoro fatto da Stefano Pasta, dottore di ricerca in Pedagogia, assegnista presso il Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia (CREMIT) www.cremit.it  e membro del Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, col suo ultimo libro, l’appena uscito Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online edito da Skolè-Morcelliana, la cui chiave è proprio quella del confronto e della responsabilizzazione degli utenti. La ricerca alla base di questo libro, infatti, è condotta in larga parte sul campo (quindi direttamente sul web) con interviste mirate ai ragazzi che si sono resi protagonisti di episodi di commenti razzisti, xenofobi o discriminatori. Il ricercatore, provando a suscitare empatia, intreccia così dei dialoghi con i ragazzi per capire, non per giudicare e condannare, e va a scavare le motivazioni e le azioni di questi gesti. Le reazioni sono curiose ed è bello vedere come molti di loro, se e quando il ricercatore svela il proprio scopo, siano colpiti dal fatto che qualcuno si interessi a loro ed a quanto hanno detto.

Il libro è dunque uno strumento importante da un lato per avere un panorama chiaro dell’odio in rete in un momento in cui è forte il tentativo di strumentalizzarlo o per renderlo più grande di ciò che è e chiedere un maggiore controllo sulla rete o per minimizzarlo dicendo che è marginale.  Dall’altra parte è utile per comprendere meglio anche le dinamiche di risposta a questo fenomeno: quali sono le reti esistenti contro l’odio in rete, come si mobilitano, come si può lavorare per creare maggiore consapevolezza nei ragazzi (ma anche negli adulti) e smontare gli stereotipi? Senza la pretesa di fornire ricette il libro consente di avere uno sguardo complesso ed articolato quanto mai necessario perché, se in rete il fenomeno è assai esteso, la nostra vita offline, profondamente collegata tra l’altro a ciò che ci accade su internet, ne è altrettanto colpita. E se, come diceva Edmund Burke, perché il male trionfi è sufficiente che i buoni non facciano niente, non si può negare che sia assai necessario capire le dinamiche che sottostanno ai fenomeni (e questo è particolarmente complicato quando si parla di nuove tecnologie) prima di costruire delle azioni di risposta.


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