“Lacrimogeni contro noi del sindacato internazionale. I giornalisti non sono terroristi”. Intervista a Raffaele Lorusso, segretario Fnsi

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Lacrimogeni e cariche, l’esercito israeliano non ha esitato a usare la forza per disperdere una manifestazione pacifica al confine tra Ramallah e Gerusalemme Est organizzata dalla Federazione della stampa palestinese con dozzine di giornalisti locali e una delegazione della Federazione internazionale dei giornalisti.
I manifestati, con tesserino alla mano e giubbetto contrassegnato come ´press’ protestavano contro le restrizioni imposte da Israele nei confronti degli operatori dell’informazione che operano lungo il confine o nei territori occupati.
“I giornalisti non sono terroristi” lo slogan del corteo.
I militari dispiegati al check – point di Qalandia, il più importante per l’accesso a Gerusalemme,  all’improvviso e senza avvertimento hanno lanciato i gas urticanti per impedire ai manifestanti di avvicinarsi.
Il presidente del Sindacato dei giornalisti palestinesi (PJS), Nasser Abu Baker, colpito a un braccio da un bossolo dei gas, ha dichiarato  che “le forze israeliane hanno compiuto un crimine contro il mondo intero, tutti i giornalisti del mondo, i rappresentanti di oltre 600.000 giornalisti”.
L’attacco dell’esercito israeliano è stato stigmatizzato anche attraverso una lettera aperta dell’Ifj al premier Benjamin Netanyahu, al quale la Federazione ha chiesto che che Israele riconosca l’International press card, attualmente valida in 145 Paesi del mondo.
Tra i coinvolti nell’azione repressiva di ieri anche il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana Raffaele Lorusso, che abbiano intervistato.

Un attacco gravissimo quello compiuto contro la stampa internazionale ieri a Ramallah. Cosa è avvenuto?

“La manifestazione che è stata dispersa si è animata a margine della riunione dell’esecutivo dell’IFJ tenutasi per la prima volta nella città di Ramallah, eravamo lì per portare solidarietà ai nostri colleghi palestinesi ai quali quotidianamente viene impedito di svolgere il proprio lavoro. Avevamo le braccia in alto con i nostri tesserini ben in mostra, indossavamo contrassegni chiari, c’erano colleghi con le telecamere quindi era evidente che fossimo ‘stampa’.  Mentre camminavamo, senza che ci fosse stato alcun segnale di una carica, ci hanno lanciato addosso i lacrimogeni. Ci siamo allontanati velocemente. Alcuni operatori del posto avevano le maschere, noi che invece abbiamo respirato i gas abbiamo avuto problemi di respirazione e lacrimazione degli occhi. Ma è durato tutto una ventina di minuti”.

Cosa può fare la comunità internazionale dei giornalisti per supportare i colleghi palestinesi?

“Intanto bisogna manifestare il massimo della vicinanza ai colleghi e raccontare quanto avviene in queste realtà, sostenendo la loro battaglia alla libertà per l’informazione e la professione. Loro chiedono soltanto libertà di movimento, di non essere trattati come terroristi. Tutto questo si inquadra in un contesto generale di una situazione che si trascina da tempo e che non riguarda solo la stampa. Conosciamo tutti la questione, non è facile per i nostri colleghi riuscire a fare informazione in modo corretto e senza limitazioni. Mi auguro che prima o poi si possa convivere tranquillamente come avviene in tutte altre parti del mondo”.

Anche nel resto del mondo non mancano situazioni di rischio e di limitazione della libertà di stampa…

“A parte le minacce, le intimidazioni che sono ormai all’ordine del giorno, gli episodi di violenza si stanno moltiplicando. Basti pensare a quanto avviene in America Latina o dell’Africa ma anche nel cuore dell’Europa: negli ultimi 12 mesi hanno perso la vita 4 giornalisti”.

In generale, cosa sta facendo il Sindacato internazionale per la sicurezza dei giornalisti nelle realtà a rischio?

“L’IFJ sta tentando di tutelare maggiormente la categoria proponendo agli organismi internazionali delle convenzioni per garantire la sicurezza degli operatori dell’informazione e illuminare quelle situazioni in cui la libertà di stampa viene negata, soprattutto quando avviene con la forza. In particolare è stata proposta una piattaforma alle Nazioni Unite che, una volta approvata, impegnerà tutti gli Stati a fornire maggiore protezione oltre che vigilanza, soprattutto nelle zone più calde del pianeta”

La sensazione, guardando a ciò che viene prodotto in termini di ‘esteri’ nel nostro Paese, è che siano sempre meno i giornalisti inviati dalle dalle testate in contesti considerati ‘a rischio’. E’ finito il tempo degli inviati di guerra?

“Come altri settori, anche quello dell’informazione è stato investito dalla crisi economica globale. Ormai sono sempre meno i media che possono, o meglio vogliono, permettersi di sostenere i costi di eventi in zone difficili del mondo. Le aziende stanno facendo progressivamente un passo indietro dando così spazio a quei free lance che per lavorare si spingono autonomamente anche in realtà molto pericolose”.

Nonostante l’ottimo lavoro che svolgono tanti colleghi free lance è un dato di fatto che il livello della copertura dei conflitti stia peggiorando.

“Certo, in quelle più lontane, quelle più pericolose, la presenza di inviati è sempre più limitata. Ma non è solo un problema italiano. Ci sono realtà dell’Africa, ad esempio, di cui non abbiamo mai sentito parlare, in Italia come in Europa. Non ne parla nessuno “.

La Federazione nazionale della stampa è stata in prima linea nella ricerca di verità e giustizia per Daphne Caruana Galizia. Quali le prossime iniziative”

“Siamo impegnati costantemente nella difesa dei diritti dei giornalisti a rischio e, come nel caso di Daphne Caruana Galizia, portiamo avanti battaglie di verità e giustizia. La Fnsi ha  chiesto alla Federazione internazionale di attivarsi per ottenere una commissione d’inchiesta indipendente affinché siano chiariti i punti oscuri di una vicenda di cui sappiamo ancora poco e continuerà a tenere accesi i riflettori sul caso. Dopo aver già invitato i familiari della Caruana Galizia in Italia, continueremo a promuovere altre iniziative a cominciare da quella prevista a dicembre in occasione della premiazione di Corinne Vella, sorella di Daphne, alla festa di Articolo 21″.


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