Bolsonaro vince: è presidente del Brasile. Si chiude un’epoca e se ne apre un’altra carica di tenebrose incognite

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In politica i miracoli non esistono, neppure nell’esuberante terra brasiliana. E solo un miracolo di convinta, attiva solidarietà repubblicana e democratica avrebbe potuto evitare la vittoria dell’estremista di destra Jair Bolsonaro. Troppi e lasciati marcire troppo a lungo i contrasti, le diffidenze, le rivalità, gli inganni tra i dirigenti politici di un centro-sinistra largo, la cui somma dei voti raccolti al primo turno di queste elezioni sarebbe pur stata sufficiente a fermare il successo dell’ex capitano nostalgico di colpi di stato e dittature militari. Ma nessuno, tranne forse il perdente Fernando Haddad, ci ha creduto davvero. Il voto del secondo turno ha certificato la realtà: quasi il 55 per cento a Bolsonaro, quasi il 45 per Haddad.

Eppure il paese non appare più il gigante deitado, il gigante sdraiato della sua poesia patriottica. Gli oltre centodieci milioni di elettori della maggiore potenza economica sudamericana hanno espresso un voto articolato, sebbene maggioritariamente orientato a destra. Il recupero del candidato di centro-sinistra in questo secondo turno è dell’ordine di vari milioni di voti, dunque rilevante anche in termini percentuali. Il partito dei lavoratori (PT) che lo ha espresso resta il primo gruppo parlamentare, anche se ridotto di un 10 per cento. Nella distribuzione dei governi statuali (il Brasile è uno stato federale) la destra non è riuscita a sbaragliare gli avversari. Alcuni stati chiave restano al centro-sinistra.

L’evidente e rilevante successo personale (e dell’intera famiglia: con Jair sono stati eletti in diversi ambiti istituzionali anche i suoi tre figli, tutti maschi e più bellicosi del padre) non spalanca tuttavia a Bolsonaro una presidenza facile. Il nuovo capo dello stato dovrà costruirsi al Congresso una maggioranza capace di sostenere le sue già annunciate iniziative di legge (più armi, meno diritti alle donne e alle minoranze sociali e di genere, meno rispetto dell’ambiente, aumento delle spese scolastiche, etc.), in un sistema abnorme, con 30 partiti abituati nella maggior parte dei casi al più lucroso commercio dei propri voti. E’ nelle permanenti e ineludibili trattative di corridoio che si sono usurati nei decenni trascorsi prestigio e credibilità di più d’un Presidente.

Sconfitti nella corsa al Palazzo del Planalto, al centro-sinistra e al PT che fu del presidente-operaio Lula viene adesso richiesto di mostrare la capacità di rinnovarsi nel ruolo di oppositori, contro un governo dichiaratamente risoluto ad abbattere l’incompiuta democrazia brasiliana, smontandone le garanzie fondamentali. E’ questo il solo terreno, per vasto, impervio e pericoloso che sia, sul quale possono sperare di ricucire la profonda lacerazione, anche e forse innanzitutto culturale, creatasi tra la loro capacità di rappresentanza e gran parte del paese. Non esclusa quella nient’affatto trascurabile che ha continuato a votarli solo seguendo il criterio del meno peggio. Meriti e prestigio del passato non bastano più per aspettarsi credito.


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