2.682 attentati terroristici in Europa fra il 2006 e il 2013. Quelli di matrice islamica sono lo 0,6%…

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«Un Rapporto dell’Interpol stima che fra il 2006 e il 2013 in Europa ci sono stati 2.682 attentati terroristici. Un numero spaventoso. La cosa curiosa è che solo lo 0,6% di questi attentati – dice sempre il Rapporto -, cioè 16, sono riconducibili ad una matrice fondamentalista islamica. Mi sono detto: com’è possibile? I terroristi per eccellenza siamo noi. Chi ci ha tolto questo primato? O quelli dell’Interpol sono tutti dei buonisti, gente di sinistra, o c’è qualcosa che non va. Guardando a casa nostra, si scopre che abbiamo la mafia. C’è un terrorismo autoctono, nostrano, a chilometro zero, “benevolo, integrato”, e poi c’è un terrorismo d’oltremare, cattivo, islamico, che ci spaventa. Anche noi musulmani siamo ormai convinti di essere noi i terroristi. E quindi se c’è un attentato, non può che essere stato perpetrato da uno dei “nostri”. Subiamo la propaganda. Come comunità islamica finiamo col convincerci che qualsiasi male che capiti in questo mondo o qualsiasi attentato in qualche modo appartenga a noi. Questo ci riporta al discorso sulla differenza fra realtà e percezione». A parlare così è Yassine Lafram, neo presidente dell’Ucoii (Unione delle Comunità islamiche italiane), intervenuto lo scorso 8 ottobre all’Open Testolini di Mestre (Venezia) insieme all’arabista Paolo Gonzaga, e ad Enrico Ferri, giornalista e sindacalista, alla mattinata di formazione per giornalisti da me moderata, e promossa dal Sindacato Giornalisti del Veneto. Intitolato “L’Islam: religione di pace o ‘sacralizzazione’ della violenza?”, l’incontro ha inteso sviscerare l’origine della violenza nell’Islam, una religione che si caratterizza già dal nome – Islam ha la stessa radice di salām -, per essere tesa alla pace. Invece, essa viene oggi sempre avvicinata all’uso della violenza, tanto che il terrorismo è sempre islamico. Attenzione, dunque, all’uso delle parole – è stata la raccomandazione da parte dei relatori – e anche ai numeri. Solo il 19% dei musulmani sono arabi. Nel mondo, il paese con il maggior numero di credenti musulmani è l’Indonesia, e non è un paese arabo.

Ad introdurre il tema della differenza fra realtà e percezione era stato Enrico Ferri, che ha anche illustrato gli obiettivi e le nuovissime linee guida (ottobre 2018) di Carta di Roma, l’associazione nata nel 2011 per attuare il protocollo deontologico per un’informazione corretta sull’immigrazione. «I musulmani in Italia sono il 3%; la percezione è che siano il 20%. In Italia ci sono 500mila irregolari. Siamo 60 milioni di abitanti. Se questo fosse un Paese serio, il “problema” di 500mila irregolari l’avremmo risolto. Un altro dato inconfutabile. Gli arrivi sono diminuiti, ma i morti in proporzione agli arrivi sono aumentati».

«Tra gli anni ’90 e 2000 – ha ripreso Lafram – sono arrivati grandi flussi migratori. Secondo l’ultimo Dossier della Caritas, oggi gli immigrati sono sui 5 milioni e mezzo, 2 milioni sono musulmani. Utilizzano 1.251 sale di preghiera, di cui solo 5 sono moschee vere e proprie, con cupola e minareto: la Grande Moschea di Roma, quella di Segrate, al confine tra i comuni di Segrate e Milano, quelle di Forlì e Ravenna, e quella di Colle Val D’Elsa, in Toscana. Per il resto si tratta di magazzini, scantinati, appartamenti sfitti, cantine…; ci si arrangia come si può. Questo lascia le comunità in uno stato di precarietà». E la precarietà non aiuta l’integrazione. Lafram ha fornito poi alcuni cenni sulla religione islamica e ha demolito l’immaginario collettivo di un Corano intriso di violenza. «Il Corano è costituito da più di 6.000 versetti; quelli dove vengono usate parole la cui radice è jihad, sono all’incirca 21. Ed è molto più frequente nel suo significato primario di “sforzo sulla via di Dio”. Solo in un contesto di guerra di legittima difesa, viene usato nel senso di combattimento. Ma non significa mai “guerra santa”, per noi musulmani la guerra non ha nulla a che vedere con il sacro. Più di 1.000 versetti parlano del senso della creazione, dei pianeti, della terra, dei mari, dell’ambiente, cioè della grandezza del creato. Più di 1.000 versetti parlano di culti, di orazioni, di adorazione di Dio. Il testo sacro va letto nella sua interezza e va contestualizzato».

«La violenza non è qualcosa che appartiene alla religione islamica – ha ribadito Paolo Gonzaga -, ma è un fenomeno moderno e post moderno. Fino agli anni Settanta nessuno sapeva nulla di questi gruppi oggi chiamati jihadisti. Il colonialismo in Africa, la spartizione del Medio Oriente fra le potenze europee provoca rabbia e sorgono alcuni gruppi fondamentalisti (nel senso vero del termine, cioè che volevano tornare alle fondamenta della religione), che si riferiscono ad alcuni ideologi, primo fra tutti l’egiziano Sayyd Qutb. Il primo gruppo che lega politica e religione sono i Fratelli Musulmani. Erano nati nel 1928, ma con una tendenza riformista, sebbene abbastanza conservatrice. È con Qutb che si assiste alla loro deviazione. Ma in quegli anni l’intento era di cambiare i propri governanti, ritenuti traditori del vero Islam. Solo con al-Qaeda inizia un vero e proprio linguaggio violento e il nemico diventa l’Occidente. Questo sfocerà nell’11 settembre. Ovviamente le conseguenti invasioni dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi hanno peggiorato la situazione. E abbiamo sbagliato a non sostenere le primavere arabe perché del loro fallimento si è servito l’Isis, che ha potuto dichiarare che il cambiamento non può venire da proteste pacifiche, ma solo dalla guerra».

Da parte dei giornalisti presenti si è molto insistito nel chiedere spiegazioni relative al fenomeno Isis. Ma non sono mancate domande inerenti la Palestina, il conflitto fra sunniti e sciiti, la donna islamica, la radicalizzazione delle periferie parigine, gli interessi economici che tengono il Medio Oriente perennemente sotto tensione. «Se andiamo a vedere, i dittatori del mondo arabo sono sostenuti da governi occidentali. Da quando il colonialismo se n’è andato, le élite politiche che guidano questi paesi sono dipese da scelte fatte in Occidente, spesso negli Stati Uniti. Le classi medie sono scarse, quasi inesistenti. E dove non ci sono classi medie, la democrazia è più a rischio. Le popolazioni non si sono scelte né Mubārak, né Ben Ali… si sono ritrovate a doverli subire», ha detto ancora Gonzaga.

«Le popolazioni arabe che si sentono oppresse – ha concluso Lafram -, fanno fatica a prendere ad esempio l’Occidente, perché lo accusano di essere bifolco: da una parte parla di diritti umani, dall’altra è lo stesso Occidente che sostiene il dittatore che le opprime. Le popolazioni arabe e islamiche hanno diritto a fare un percorso che le porti all’autodeterminazione senza interferenze estere. Come tutti gli altri popoli. Pensiamo all’unità d’Italia nel 1861, non è avvenuta con baci ed abbracci. Sono processi che richiedono fatica, sacrifici, tensioni, anche conflitti. La democrazia è stata esportata in Afghanistan uccidendo un milione di afghani e le donne sono ancora con il burqa; abbiamo ucciso i loro mariti, i figli, i fratelli per vendicare 3.000 morti americani uccisi da 19 sauditi. Gli americani si inventano che Saddam ha armi chimiche e batteriologiche, uccidono mezzo milione di iracheni, salvo poi dire: ci siamo sbagliati, ma vi abbiamo liberato dal dittatore. Queste continue interferenze non fanno bene a nessuno. I popoli arabi hanno il diritto di fare la loro storia con le loro mani».

E a proposito di parole, musulmano è un sostantivo, islamico è l’aggettivo. I credenti sono musulmani, le scuole, le preghiere… sono islamiche.


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