Migranti. “Gran parte di quei 35 euro al giorno ricadono sul territorio. Non vanno in tasca né del richiedente asilo né delle associazioni”. Intervista a Roberto Zaccaria

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Nell’estate segnata da inesattezze numeriche e strafalcioni concettuali sull’argomento “rifugiati”, termine tra i più cliccati ma non altrettanto conosciuto, fa bene al cervello e all’anima ascoltare un cultore della materia, Roberto Zaccaria, uno dei maggiori esperti di diritto dell’informazione nonché presidente del Consiglio Italiano per Rifugiati Main Home – CIR ONLUS,  l’organizzazione umanitaria che dal 1990 difende i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Ha accettato di parlare del cosiddetto fenomeno-migranti e sopratutto di come viene descritto in questa torrida fase di odio e lacune.
Professore lei ha detto “io sono uno di quelli che sta nel business dei rifugiati”, è evidente che è stata una frase pronunciata di proposito in un’estate segnata da profonda ignoranza. Come si fa a mettere ordine almeno nei concetti che attengono la posizione di “rifugiato”? E come lo si può fare in questo momento e nel caos che accompagna l’arrivo di migranti in Italia?
Servirebbe innanzitutto un po’ di onestà comunicativa. Il caos che accompagna l’arrivo dei rifugiati in Italia è, in questo momento, volutamente provocato; ogni giorno si punta a creare un caso più grande del precedente, senza trovare soluzioni a un fenomeno strutturale. E in questo clima spiegare cosa succede è complesso. La realtà è che in Italia dall’inizio dell’anno sono arrivate solamente 20.250 persone, ben il 79% in meno. E questo ben prima di giugno, grazie alle politiche che l’ex ministro dell’Interno Minniti aveva già messo in campo. E per quanto riguarda il business dei rifugiati, se ci sono stati casi di cooperative che si sono indegnamente comportate arricchendosi con l’accoglienza, vorrei ricordare che la maggior parte di chi opera nel settore lo fa senza, veramente, alcun guadagno personale. Basta pensare al processo di criminalizzazione a cui sono state sottoposte le Ong. Vorrei infine ricordare che gran parte dei famosi 35 euro al giorno per ogni ospite ricade sul territorio, non in tasca del richiedente asilo né in quelle delle associazioni che gestiscono i progetti.
Il prossimo 15 settembre è prevista un’iniziativa di solidarietà con riconoscimenti per gli “ambasciatori di umanità”. Vuole illustrarci gli obiettivi e come nasce?
L’obiettivo è premiare chi riesce a tenere accesso un faro di umanità e che riesce a spiegare attraverso sensibilità e competenze diverse il fenomeno complesso della migrazione. Siamo ormai assuefatti all’odio e alla violenza della rete, ma stiamo perdendo il contatto con una realtà diversa, fatta dai tanti che credono che dare protezione ai rifugiati sia un dovere a cui nessuno possa sottrarsi. Il premio è anche questo: testimonianza di una Italia diversa che deve essere valorizzata e non dimenticata.
Lei si occupa da sempre di diritto dell’informazione e diritto all’informazione, concetti divenuti attualissimi  per le molteplici violazioni che si trovano nella rete, un mondo che, in nome della libertà, sembra fare strame di ogni regola, anche quelle basilari, un pianeta dove le fake news aspirano ad avere pari dignità rispetto ai fatti realmente accaduti e dove le manipolazioni sono praticamente ammesse, giustificate. Davvero la rete è simbolo di libertà?
La rete è l’inevitabile futuro, i cui effetti debbono essere ancora capiti e ben gestiti. Innanzitutto da chi ha inventato sistemi che si stanno rivelando facilmente manipolabili. Da questo punto di vista mi sembra significativa l’osservazione Guy Verhofstadt durante l’audizione di Zuckerberg al Parlamento Europeo che gli ha chiesto se preferisce essere ricordato come un gigante del tech che ha arricchito il mondo, al pari di Bill Gates o Steve Jobs, oppure se preferisce passare alla storia come il mostro che ha distrutto le democrazie.
Ha sempre sostenuto che la rete deve essere espressione di libertà, ma alla luce di recenti distorsioni non ritiene sia arrivato il momento di introdurre delle regole anche in quel mondo?
Sì, ho sempre sostenuto che internet è uno spazio di democrazia. Vero è che nell’ultimo periodo è stato evidenziato come alcuni social abbiano avuto influenza tale da causare possibili ripercussioni  sui sistemi elettorali e democratici. Credo che in questo contesto vada pensato un sistema di soft low non autoritario bensì affidato ad autorità di garanzia, come già avviene in altri ambiti in moltissimi Paesi e con effetti benefici. Ad Assisi il 6 ottobre affronterò proprio questa materia e penso ad una carta dei diritti e dei doveri. Non sono per statuizioni autoritarie, ripeto, bensì per una garanzia che assicuri il rispetto di regole. Insomma ritengo si debba andare verso la consapevolezza che la democrazia si protegge solo con la vigilanza.

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