Quel tributo di 29 piccole vittime che illumina il conflitto dimenticato in Yemen

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La ‘danza’ macabra dei media sui corpi dei 29 bambini saltati in aria, insieme ad altre 14 persone, in un attacco mortale ai danni di uno scuolabus nella provincia di Saada, in Yemen, sinceramente mi disgusta.
C’è voluto questo atroce sacrificio a far scoprire alle grandi testate italiane, e neanche tutte, che in questo disperato paese mediorientale si continua a morire, come da tempo raccontiamo da questo sito. Anche a causa delle armi che l’Italia vende all’Arabia Saudita, che guida l’alleanza militare responsabile del raid di ieri e di altre migliaia di vittime.
Dalle prime notizie diffuse dal Comitato internazionale della Mezzaluna Rossa in Yemen e dall’Unicef, impegnata in una straordinaria opera di assistenza e aiuto nel Paese, la maggior parte delle vittime sarebbe sotto i 10 anni. Il mezzo che trasportava gli studenti, diretti a un campo scuola di corano, stava attraversando la strada che costeggia il mercato affollato di Dahyan, cittadina sotto il controllata dei ribelli Houthi.
Il portavoce della coalizione a guida saudita ha affermato alla rete al-Arabiya che “gli attacchi aerei erano conformi alle leggi internazionali e umanitarie”.
Nulla di più falso. Più di una fonte, tra cui alcuni giornalisti yemeniti che scrivono dalla capitale, Sana’a, hanno rilevato come non vi fosse traccia nelle vicinanze del bombardamento né di combattenti né di installazioni militari.
Si è trattato, dunque, dell’ennesimo attacco su scuole, ospedali, civili inermi – magari riuniti a un matrimonio – di un fronte senza scrupoli.
Nel solo mese di giugno l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno effettuato almeno 258 raid aerei, di questi quasi 1/3 erano diretti verso obiettivi non militari. Dopo una pausa lo scorso luglio, dovuta al tentativo delle Nazioni Unite di negoziare un accordo tra le parti coinvolte nel conflitto per scongiurare altri attacchi, ad agosto questi ultimi sono ripresi con intensità.
Meno di una settimana fa 55 persone, tra cui donne e bambini, sono rimaste uccise dalle bombe saudite, presumibilmente di produzione italiana, nella città portuale di Hodeidah. I raid, oltre che sul porto, si sono concentrati sull’ospedale pubblico di al-Thawra.
L’alleanza araba impegnata in questa offensiva oltre all’Arabia Saudita e Emirati Arabi comprende Egitto, Kuwait, Sudan e Bahrein e ha dato il via alle operazioni militari il 26 marzo 2015 per sostenere il presidente Hadi nel contrasto ai ribelli sciiti, che godono dell’appoggio dell’Iran, che gli contendono il potere.
La guerra nello Yemen è entrata ormai nel quarto anno e ha causato non meno di 12 mila vittime, ma si tratta solo di stime approssimative.
La situazione nel Paese fa sì che al momento sia la peggiore crisi umanitaria del mondo, come sottolinea la stessa Onu impegnata a cercare una soluzione politica al conflitto.
Oltre 20 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari. Il popolo yemenita vive sotto i bombardamenti, in perenne assedio. Metà delle strutture sanitarie sono state distrutte dai bombardamenti e quasi la totalità delle restanti sono chiuse per mancanza di personale, medicinali, corrente elettrica ed acqua. La distruzione delle infrastrutture ha riportato il paese indietro di decenni.
L’emergenza si è aggravata ancora di più con l’embargo che ha ridotto al minimo l’ingresso delle merci e degli aiuti umanitari. Cibo, acqua, medicine e carburante scarseggiano, quest’ultimo indispensabile non solo a garantire i trasporti, ma anche al funzionamento dei generatori elettrici e delle pompe idriche grazie alle quali 15 milioni di yemeniti hanno accesso all’acqua. Chi sta pagando di più il prezzo di questa guerra sono i bambini: 3 milioni rischiano di morire di malnutrizione, se non riceveranno le cure adeguate.
Lo scenario è dunque da collasso umanitario irreversibile, o quasi, e appare oggi sempre più complesso.
Per cercare di porre un argine a tanta devastazione Martin Griffiths, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, ha esortato le parti coinvolte a partecipare al tavolo dei colloqui di pace fissato per il 6 settembre. Un ultimo disperato tentativo di fermare un conflitto che, oltre a devastare uno dei paesi più belli del Medioriente, ha letteralmente cancellato il futuro di un’intera generazione.


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