Insultati e minacciati solo perché fanno il loro lavoro. Tre storie emblematiche. Intervista a David Puente, il tecnico che scova bufale  

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Insultati, minacciati, se va bene messi alla berlina, solo perché stanno facendo il loro lavoro o seguendo il loro hobby seriamente. Una prassi costante negli ultimi mesi,anzi crescente nella violenza verbale, “insegue” chi semplicemente svela verità scomode. Nelle ultime ore è toccato di nuovo a Federico Gervasoni, il cronista de La Stampa che ha scoperto le cene settimanali di Avanguardia Nazionale, un’associaizone di estrema destra. Due giorni dopo la pubblicazione degli articoli (a luglio) è iniziata la sequela di insulti. Senza fare direttamente il nome di Gervasoni ma con indicazioni inequivocabili che fanno riferimento specifico all’articolo; ormai va avanti così da settimane nonostante la solidarietà di tanti colleghi e l’eco che la storia di Federico ha avuto anche in ambito nazionale.
Evidentemente gli autori delle minacce non hanno paura né dei riflettori, né della Giustizia poiché il giornalista ha presentato regolare denuncia allegando tutte le prove delle minacce ricevute. Per questa ragione sia Gervasoni che molti osservatori parlano di un “clima intimidatorio” verso chi, col proprio lavoro, porta a galla verità scomode come il risveglio della destra fascista, chiaramente anticostituzionale. A volte basta nulla, atti semplici, dovuti per legge, e subito si scatena un diluvio di insulti che indicano anche il “nemico” con nome, cognome, foto. Sta succedendo al Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che ha indagato il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini per sequestro di persona, dopo essere salito a bordo della “Diciotti” e dopo aver ascoltato persone informate sui fatti circa l’ordine impartito di non lasciare attraccare la nave e non far scendere le persone a bordo. E’ bastato questo atto doveroso perché dalla pagina Fb di “Identità Italia” partisse il tiro al bersaglio con tanto di foto e frasi come questa “… invece di indagare sull’immigrazione clandestina vuole mettere le manette ad un ministro della Repubblica”. A parte le imprecisioni giuridiche, come prevedibile il post ha scatenato i peggiori leoni da tastiera della rete. E giù insulti.Va detto che in larga parte lo squadrismo della rete ha forti legami politici e molti degli insulti provengono da profili (alcuni falsi ma molti autentici) che hanno legami con partiti, come la Lega o associazioni quali CasaPound e Forza NUova o, come in questo caso, associazioni orientate verso la Lega di Salvini. Li accomuna un evidente disprezzo della Costituzione ed è l’elemento più preoccupante. Smascherare questo tipo di atteggiamento o di legami può costare molto caro, può diventare a sua volta un incubo fatto di minacce, insulti e intimidazioni.
Ed è ciò che sta accadendo da dicembre scorso a David Puente, un bravissimo tecnico informatico che per hobby smaschera bufale, comprese ovviamente quelle politiche. Da mesi è destinatario di messaggi terribili ed è consapevole che gli autori di quelle minacce lo “seguono”, cioè sanno dove abita, in quali posti tiene incontri e conferenze. “Francamente adesso comincio a preoccuparmi – ammette David – perché ho scoperto che alcuni account fasulli da cui provengono minacce sono riconducibili a persone fisiche che non ci vanno leggere, alcuni sono pregiudicati. Mi rendo conto che siamo entrati proprio in un clima strano, non prevedibile”.
Non è paradossale che ci siano simili reazioni davanti ad un’operazione verità come quella che fa lei?
“Sia la verità che la bugia sono mal viste, non accettate. Io ho cominciato questa operazione di rivelazione delle bufale perché volevo aiutare chi può incappare in truffe sul web e perché sono una persona curiosa da sempre. Nel 2014 ho visto le prime reazioni negative ma erano persone che ti chiedevano scusa quando li smascheravi. Ora, invece, noto che gli insulti e le minacce provengono da soggetti ‘organizzati’, arrivano messaggi sul mio account privato da profili che poi spariscono o da account che non sono ancora stati verificati e dunque si capisce che è sistematico come metodo, tecnicamente raffinato. E’così che ho scoperto il finto profilo di Lara Pedroni (la donna che spacciava bufale su Roberto Saviano e Laura Boldrini ndc), ho trovato colei che aveva davvero quel volto. La ragazza ha presentato regolare denuncia. Ma io da quel momento ho ricevuto messaggi brutali e ho capito che avevo toccato un filo scoperto della rete, un filo pericoloso”.
Cosa prova adesso? Paura, stupore?
“In un primo momento ho evitato di mettere sulla mia pagina informazioni personali, per esempio se andavo ad una conferenza in una certa città non lo mettevo in rete, cosa invece assai utile per chi svolge il mio lavoro. Sono un consulente aziendale e quindi la rete è anche un veicolo per far conoscere la propria professionalità. Io nella vita faccio questo e scoprire bufale è solo un hobby, che però adesso occupa molta parte della mia giornata. Paura? Beh, un po’sì, specie se sai che chi ti minaccia in rete conosce il tuo indirizzo di casa, dunque quello della tua famiglia. Però credo sia importante  non dargliela vinta. Infatti il mio atteggiamento ultimamente è cambiato. Tante persone dopo aver ricevuto minacce per aver espresso il loro pensiero, poi hanno letteralmente paura di rifarlo, temono il plotone della rete. No, non bisogna cedere a questo e denunciare credendo nella Giustizia. Io continuerò a scovare bufale nella rete perché credo in ciò che faccio e penso sia utile, anzi necessario”.
Lei è nato in Venezuela da italiani emigrati lì molto tempo prima ed è tornato in Italia quando aveva pochi anni. Eppure tra gli insulti c’è anche la famosa frase: “Tornatene a casa tua”
“Sì, anche questa cosa è abbastanza brutta e nuova. Io sono tornato già a casa mia e comunque non è una terminologia che va usata.La mia famiglia è friulana ed è emigrata in Venezuela dove sono nato, sono in Italia da quando avevo otto anni. Assurda questa cosa del ‘tornatene a casa’ ma non mi faccio intimidire neppure da questo”.

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