Rompiamo il silenzio delle piazze. Contro il razzismo non bastano più solo le parole

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“Ecco come mi hanno ridotta i miei aggressori.  Nonostante questo penso che l’Italia sia un paese bellissimo ma sta prendendo piede una brutta “malattia” ovvero il razzismo. Grazie a tutti i messaggi di supporto e di amore che sto ricevendo in queste ore!”.

Era doveroso partire dalle parole di Daisy Osakue, atleta azzurra di origini nigeriane colpita da uova questa notte a Moncalieri. Uno l’ha raggiunta a un occhio provocandole un danno alla retina.

Quest’ultimo episodio giunge al termine di due mesi di follia o, per dirla con le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di “far west” dove la caccia allo straniero è diventata un’emergenza quasi all’ordine del giorno.

Questo imbarbarimento è la prova che la situazione non stia solo peggiorando di giorno in giorno ma è già oltre ogni limite tollerabile. Ed è per questo che è ora di agire. Subito. Prima che sia troppo tardi. Come fu nei primi anni 2000, che hanno visto la nascita di Articolo 21, quando le piazze si riempirono in nome della libertà di espressione, oggi, dopo quasi 18 anni, è arrivato il momento di far sentire forte la voce dell’Italia per bene, quella che non odia, non esclude, non discrimina.

Insieme possiamo ribadire “Io non sono razzista” lì in piazza, davanti al Viminale, che oggi in sfregio del ruolo istituzionale del suo principale inquilino, il ministro dell’Interno, è responsabile del clima di razzismo che si sta diffondendo in tutto il Paese. Il silenzio di fronte a tutto questo non è più accettabile, non possiamo rassegnarci a una società silente, complice.

Quello di Daisy è l’ultimo caso di una lunga striscia di violenza e di razzismo che deve scuotere tutti, un’escation che dalla sparatoria di Macerata dello scorso 3 febbraio (quando Luca Traini ha ferito sei stranieri per ‘vendicare’ Pamela Matropietro) conta centinaia di casi di aggressioni ingiustificabili.  Di cui ben 11 di estrema gravità, compiuti con mezzi in grado di uccidere, dalle armi ad aria compressa alle auto utilizzate per investire le vittime come nel caso di Aprilia, in provincia di Latina, dove domenica scorsa un 43enne marocchino è morto dopo un inseguimento da parte di un gruppo di persone che riteneva fosse un ladro.

Rispetto a tutto questo, alle decine di cittadini stranieri colpiti da piombo e spranghe italiane, serve un atto di solidarietà che vada oltre gli articoli di denunciai, che restano il nostro mestiere, e le parole affidate ai social. Bisogna rompere il silenzio delle piazze su cui contano le oligarchie al potere. Spetta a ciascuno di noi tutelare la Costituzione dagli schizzi fascisti e razzisti.


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