Un nuovo centrosinistra dovrà fare a meno del personalismo

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Per il centrosinistra, l’insuccesso elettorale nelle amministrative, pur essendo stato previsto, è risultato ugualmente disastroso, senza attenuanti. Mette in discussione l’esistenza stessa del Pd e del centrosinistra di oggi. A questo punto o le varie correnti interne hanno uno scatto di razionalità elevata o davvero segneranno il declino definitivo di un soggetto politico, il Pd, nato male e vissuto peggio sotto guide o tentennati o arroganti e personalistiche.

Sembra fallito sia il disegno di coloro che hanno guardato con nostalgia al fenomeno, irripetibile, della sinistra novecentesca, sia quello di coloro che hanno pensato a un partito liberal-democratico che tagliasse il cordone ombelicale con il fenomeno della sinistra sociale cattolica e di quella ex comunista. Come è stato detto più volte, la fusione a freddo non ha funzionato. Il Pd e il centrosinistra non sono esplosi ma implosi. Cosa fare a questo punto? Intanto un congresso vero, con la gente che si confronta e dibatte nelle varie sedi fisiche, quelle poche esistenti e quelle da riaprire in tutte quelle città e medi e piccoli centri, dove la delega è stata assegnata dall’alto a proconsoli fedeli ma non sempre all’altezza del compito. Un dibattito non dilaniante e mirante invece ad eleggere democraticamente un nuovo gruppo dirigente, unitario e plurale. Ciò richiede la disponibilità di tutti a fare un passo di lato senza rinunciare a dare il proprio contributo di idee e di azione unitaria. Non più correnti interne chiuse ma impegno di unità nella pluralità di idee e culture.

Presupposto che ci siano valori fondanti comuni, quali? Tentiamo una schematica elencazione:
– in economia, neoliberisti o neokeynesiani?
– ci si fa carico dei problemi dei più deboli e di un nuovo welfare?
– si vuole rappresentare il mondo del lavoro nella sua nuova struttura articolata, dalle attività produttive ai servizi e alle professioni?
– si assume il principio istituzionale della rimozione di ogni ostacolo di ordine economico e sociale (art. 3 Cost.) e dell’utilità sociale delle imprese private e pubbliche (artt. 41, 42, 43, 44, 45 Cost.)?

Tutto ciò sembra molto scolastico, ma è chiaro che un nuovo centrosinistra dovrà fare a meno del personalismo e pensare a un collettivo o una leadership unitaria fondata su valori che hanno le radici anche nella storia del passato, ma che guardino al mondo di oggi, alle sue nuove povertà, diseguaglianze, migrazioni epocali, paura e insicurezza di massa. Se gli operai di Ivrea, dopo 74 anni, votano Lega e non più la sinistra, ci sarà un motivo. Se quella grande massa di giovani disoccupati o Neet della Sicilia e del Mezzogiorno votano centrodestra o 5S, non è solo un problema di comunicazione. Quante riunioni sul territorio sono state tenute prima, durante e dopo la campagna elettorale?

Riprendere il filo storico interrotto della sinistra non significa solo cambiare nome al partito, ma cambiarne la politica e la cultura generale della sua classe dirigente, sempre più simile ad una casta impegnata a difendere il suo ruolo più che a risolvere i problemi degli sfruttati vecchi e nuovi.

 


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