Dossier “Cultura”. Il Governo finalmente c’è, ma l’attenzione verso la cultura permane debole

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Intorno alle ore 21 di mercoledì 31 maggio, le agenzie stampa diramano la prima lista ufficiale dei ministri del nuovo Governo italiano, guidato dal professor Giuseppe Conte: il “Contratto per il Governo del Cambiamento”, che sembrava un crollato castello di carte, riacquisisce quindi vitalità, e diviene un pilastro dell’esecutivo. Dopo settimane di “ottovolante”, il “fantagoverno” M5S + Lega sembra essere destinato a guidare il Paese veramente.

Un paio di settimane fa, abbiamo proposto una lettura “a caldo” di quel che emergeva, dal “Contratto per il Governo del Cambiamento” in materia anzitutto di cultura, ma nell’economia complessiva di una visione “globale” della convergenza tra cultura, media, telecomunicazioni, digitale (vedi “Key4biz” del 17 maggio 2018: “Cultura, Rai, Privacy, Tlc: quello che manca nel contratto M5S-Lega”). La nostra analisi era basata su una “bozza di lavoro” del Contratto, e per la precisione su quella datata martedì 15 maggio 2018 (ore 18.00).

Il parere, a caldo, non era esattamente eccellente. L’articolo così si chiudeva: “Non resta che augurarsi che nelle prossime ore i redattori di questa bozza abbiano la volontà (politica) e la capacità (tecnica) di apporre le tante corrigende necessarie, per superare queste intollerabili omissioni e rimozioni”.

Ricordiamo che una tematica delicata e strategica come la Rai (peraltro la parola “Rai” non è mai utilizzata nel “Contratto”) veniva graziosamente liquidata in poche righe: “Per quanto riguarda la gestione del servizio radio televisivo pubblico, intendiamo adottare linee guida di gestione improntate alla maggiore trasparenza, all’eliminazione della lottizzazione politica e alla promozione nella meritocrazia nonché alla valorizzazione delle risorse professionali di cui l’azienda già dispone”.

Un paio di giorni dopo, veniva pubblicata la “versione finale” del “contratto per il Governo del Cambiamento” (ben impaginato graficamente), che recava la data di venerdì 18 maggio 2018.
Appena acquisita la versione finale, abbiamo iniziato a “confrontare” il testo del 15 maggio con quello del 18 maggio, ma questa attività (non proprio eccitante) l’abbiamo presto sospesa, perché le chance che questo “programma” divenisse effettivamente “di governo” sembravano sfumare. In effetti, comunque, concentrando l’attenzione sul capitolo 7, intitolato “Cultura”, avevamo subito notato che la versione finale non modificava di una virgola quella precedente, e quindi il nostro auspicio non s’era proprio concretizzato. Nessuna corrigenda… Ed anche sul “servizio pubblico” radio-televisivo, il testo restava immutato.

Scrivevamo il 17 maggio… Una premessa: nella storia politica del nostro Paese, tematiche come la “cultura” non sono mai state messe ai primi posti nell’agenda dei Governi. Soltanto con l’esecutivo guidato da Matteo Renzi, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha assunto un ruolo più significativo (come ai tempi di Walter Veltroni), ma comunque relegato alla “serie B” nell’agenda governativa (anche se ricordiamo ancora le parole di avvio, con Dario Franceschini che rimarcò che si trattava del dicastero “economico” più importante d’Italia).

La tematica del “digitale” è ovviamente di più recente conio, e non si può non sostenere che negli anni dell’esperienza renziana (dal febbraio 2014 al dicembre 2016) essa non sia stata oggetto di… attenzioni (e qui ristendiamo un velo di pietoso silenzio sulla nomina di Diego Piacentini, boss di Amazon, alla guida della cabina di regia del digitale italico).

Chi scrive queste noterelle è convinto che il binomio “cultura + digitale” sia invece prioritario, fondamentale, essenziale, per lo sviluppo socio-economico del Paese: non si tratta di un delirio ideologico, ma di una serena considerazione frutto di un’analisi approfondita dei fattori dello sviluppo, a livello globale ovvero mondiale, ed a livello comparativo internazionale. Come dire?! C’è abbondante letteratura scientifica che lo dimostra.

La leva dello sviluppo di un Paese è nell’interazione tra cultura e digitale e nelle sinergie possibili, con ricadute a cascata in tutti i settori della vita sociale ed economica di una nazione. Tutti, nessuno escluso.

Questo concetto è assente dalle 58 pagine del “Contratto” tra M5S e Lega: totalmente assente.

Al capitolo “Cultura” (capitolo 7, pagina 16 della versione finale del 18 maggio), vengono assegnate poche righe (per la precisione, 35 dicesi trentacinque, così poche che le abbiamo appunto contate), piuttosto generiche: incredibile, ma vero.

Entriamo nel merito.

1° paragrafo

Il patrimonio culturale italiano rappresenta uno degli aspetti che più ci identificano nel mondo. Il nostro Paese è colmo di ricchezze artistiche e architettoniche sparse in maniera omogenea in tutto il territorio, e in ogni campo dell’arte rappresentiamo un’eccellenza a livello mondiale, sia essa la danza, il cinema, la musica, il teatro. Tuttavia, nonostante tali risorse, l’Italia oggi non sfrutta a pieno le sue possibilità, lasciando in alcuni casi i propri beni ed il proprio patrimonio culturale nella condizione di non essere valorizzati a dovere”.

Commento a margine: ardita tesi sostenere che le ricchezze artistiche e architettoniche siano in Italia “sparse in maniera omogenea in tutto il territorio” (???), ma certamente condivisibile la considerazione che i beni ed il patrimonio culturale non siano “valorizzati a dovere”. C’è una qualche confusione tra “patrimonio culturale” ed “attività culturale”, e si sottolinea l’importanza della “valorizzazione”, ignorando la “tutela”…

2° paragrafo

I beni culturali sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo in tutto il territorio italiano nonché alla formazione del cittadino in continuità con la nostra identità. Tuttavia lo Stato non può limitarsi alla sola conservazione del bene, ma deve valorizzarlo e renderlo fruibile attraverso sistemi e modelli efficaci, grazie ad una gestione attenta e una migliore cooperazione tra gli enti pubblici e i privati. Occorre mettere in campo misure in grado di tutelare il bene nel lungo periodo, utilizzando in maniera virtuosa le risorse a disposizione”.

Commento a margine: qui il redattore (i redattori) introducono il concetto di “conservazione” del bene, che non è esattamente corrispondente a quello di “tutela”, ma il concetto “tutelare il bene nel lungo periodo” viene introdotto poche righe dopo. L’enfasi è comunque posta sulla cooperazione tra “pubblico” e “privato”. Sintonia perfetta con quel che ha cercato di fare il Ministro Dario Franceschini nel Governo Matteo Renzi prima e Paolo Gentiloni poi. Approccio da “manager della cultura”: efficienza, efficacia, economia, mercato, pubblico/privato…

3° paragrafo

È necessario partire da un principio chiaro: la cultura è un motore di crescita di inestimabile valore e certamente non un costo inutile. Tagliare in maniera lineare e non ragionata la spesa da destinare al nostro patrimonio, sia esso artistico che culturale, significa ridurre in misura considerevole le possibilità di accrescere la ricchezza anche economica dei nostri territori”.

Commento a margine: anche qui, approccio liberal-liberista da “economia della cultura”, con enfasi non sulla funzione sociale della cultura (integrazione e inclusione), ma sulla sua funzione economica (“motore di crescita”, “ricchezza economica”…). Sintonia con la linea Franceschini (in verità tracciata anni fa da Walter Veltroni e Giovanna Melandri, che per primi hanno aperto il settore culturale all’ottica di mercato). Ci piace qui ricordare che, in occasione del suo commiato dai dipendenti del dicastero, Dario Franceschini ha sostenuto, l’11 maggio: “Aveva davvero ragione Obama. Quando lo ho accolto in occasione della sua visita al Colosseo, a pochi giorni dal mio insediamento presentandomi come il Ministro della cultura e del turismo, ha gridato più volte ai suoi collaboratori che non esiste al mondo mestiere più bello. Ed è vero. Mi sono appassionato e divertito quanto mai. Avevo sofferto a lungo la marginalità a cui era stato relegato il ministero, volevo mettere a disposizione un po’ di esperienza politica e parlamentare e sostenere di essermi sentito chiamato a guidare il ministero economico più importante del Paese è servito a convincere i decisori a una possibilità di confronto che ha permesso di iniziare la storia di riscatto che in questi anni ho costruito insieme a voi”. Franceschini chiude come aveva iniziato: il Mibact è, a parer suo, il “Ministero economico più importante del Paese”.

4° paragrafo

I nostri musei, i siti storici, archeologici e dell’Unesco devono tornare ad essere poli di attrazione e d’interesse internazionale, attraverso un complessivo aumento della fruibilità e un adeguato miglioramento dei servizi offerti ai visitatori”.

Commento a margine: Franceschini potrebbe sostenere che, grazie alle sue politiche, la fruizione dei beni culturali italiani è aumentata, se la vogliamo misurare con la quantità di visitatori nei musei. Comunque, anche qui, nessuna “rottura” con la linea precedente.

5° paragrafo

Tra le varie forme d’arte, lo spettacolo dal vivo rappresenta senz’altro una delle migliori eccellenze del nostro Paese. Eppure l’attuale sistema di finanziamento, determinato dalla suddivisione secondo criteri non del tutto oggettivi delle risorse presenti nel Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), limita le possibilità delle nostre migliori realtà e impedisce lo sviluppo di nuovi progetti realmente meritevoli. Riteniamo pertanto necessario prevedere una riforma del sistema di finanziamento che rimetta al centro la qualità dei progetti artistici”.

Commento a margine: incredibilmente nessuna attenzione dedicata al cinema (citato “en passant” soltanto nel generico 1° paragrafo), e qualche riga dedicata allo “spettacolo dal vivo”, alias teatro, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante… Qui si sostiene che l’attuale meccanismo del Fus si caratterizza per “criteri non del tutto oggettivi”: affermazione ambigua e polisemica, dato che non si precisa quali dovrebbero essere i criteri “oggettivi”, ma si potrebbe cogliere una critica al famigerato “algoritmo Nastasi” (dal nome del Vice Segretario alla Presidenza del Consiglio Salvo Nastasi, autore primo della riforma ai meccanismi di sovvenzionamento: vedi “Key4biz” del 22 luglio 2016, “Balletto Fus: Consiglio di Stato proroga a ottobre lo ‘sblocco’ dei fondi dello spettacolo”). Il paragrafo si chiude con la prospettiva di una riforma, allorquando è legge dello Stato, fortemente voluta dal Ministro Dario Franceschini e specificamente dal Partito Democratico, il riassetto dei finanziamenti allo spettacolo dal vivo, dopo la nuova legge cinema…

Conclusivamente: dichiarazioni di intenti molto ma molto generiche, nessun annuncio di radicale “cambio di rotta”. Se il Ministro si atterrà a questo “programma”… di “governo del cambiamento”, comunque, ben poco si vedrà.
Dobbiamo preoccuparci? Dobbiamo rasserenarci?!
Si prospetta continuità.
Qualcuno sarà contento. Qualcuno sarà scontento.

Tra i commentatori, Manlio Lilli (archeologo e giornalista), ha scritto, il 18 maggio, su “il Fatto Quotidiano” (in un articolo intitolato “Contratto M5s-Lega, il capitolo Cultura è un autogol”) che il capitolo “cultura” del “programma” è “deludente nei contenuti, oltre che approssimativo nella forma”. E conclude: “molti dubbi. Su un programma definitivo che sembra una bozza. Su una idea di cultura che sembra davvero approssimativa per diventare un programma di governo. Su una inconsistenza di fondo che non sembra promettere nulla di buono. L’euforia di molti per l’addio a Franceschini rischia di trasformarsi in preoccupazione. Per quel che sarà”.

La ex Presidente della Commissione Cultura della Camera nella precedente legislatura, Flavia Nardelli Piccoli (rieletta nelle liste del Partito Democratico), ha commentato il 25 maggio: “35 righe piuttosto imbarazzanti di proposte, mi auguro che non sia nemmeno il punto di partenza di una politica culturale di un prossimo governo. Sono convinta – ha sostenuto Nardelli, rivendicando il lavoro portato avanti nella scorsa legislatura – che per il settore della cultura le idee, le proposte e le tematiche debbano essere autonome dai cambi di governo. Mi preoccupa il progetto di istituire un ministero per il Turismo diviso da quello dei Beni Culturali: rischia di cancellare il lavoro fatto in questi anni, che ha prodotto risultati molto interessanti come la Capitale Italiana della Cultura, con le positive ricadute turistiche che abbiamo visto per esempio a Pistoia”.

L’idea di un dicastero del Turismo separato da quello dei Beni e delle Attività Culturali, che pure era stata annunciata, non si è però concretizzata nella lista dei Ministri che giovedì sera il “ripescato” Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha presentato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Contraddizioni interne del “programma del cambiamento” o contrasti tra Movimento 5 Stelle e Lega?! Anna Ascani, Responsabile Cultura del Pd, il 18 maggio ha sostenuto: “35 righe. Nemmeno una proposta. Del resto, la cultura non è mai stata una priorità delle destre. Spero che questo mondo faccia sentire forte la propria voce, contro un tale elenco di banalità vuote e senza visione”. Appello non accolto: silenzio assordante – ci sembra – dal mondo (dai mondi) della cultura.

Al capitolo 28 del “programma”, dedicato al “Turismo”, si legge, a chiare lettere: “Un Paese come l’Italia non può non avere un Ministero del Turismo, che non può essere solo una direzione di un altro ministero (il turismo culturale è solo uno dei “turismi”), ma ha bisogno di centralità di governance e di competenza, con una vision e una mission coerenti ai grandi obiettivi di crescita che il nostro Paese può raggiungere. Il Ministero dovrà raggiungere obiettivi importanti attraverso la creazione di un circolo virtuoso pubblico-privato e una maggiore efficacia nei rapporti con le Regioni; il tutto in pieno coordinamento tra gli operatori turistici, le varie Associazioni e le Istituzioni e gli altri Ministeri di materie “collegate” al Turismo, come ad esempio i Trasporti, le Infrastrutture, l’Agricoltura, lo Sviluppo Economico, le Telecomunicazioni, la Cultura, ecc.”.

Nell’elenco dei 18 Ministri, però… il dicastero per il Turismo non c’è. Per il prospettato Ministero del Turismo, era accreditato il leghista Gian Marco Centinaio (Capo Gruppo al Senato), tour operator con competenze nel settore maturate anche nel Club Med.

Nelle trattative tra i due partner, l’accordo sembrava raggiunto: “la cultura” ai grillini, “il turismo” ai leghisti. Così non è stato. Alcuni sostengono che i grillini avrebbero controproposto Mattia Fantinati, deputato che in prima persona ha lavorato alla redazione del programma sul turismo, ispirato da una ricerca condotta dal sociologo del lavoro Domenico De Masi. Alla fin fine, Gian Marco Centinaio è stato nominato Ministro per le Politiche Agricole.

Lo scorporo del “Turismo” potrebbe essere comunque deciso nei prossimi giorni, ma la creazione di un dicastero autonomo è un atto di una discreta rilevanza politica ed amministrativa, per quanto agevole anche a legislazione vigente… Va peraltro anche osservato che il nuovo esecutivo prevede innovazioni concrete, dato che nasce un Ministero per la Famiglia e la Disabilità (affidato al leghista Lorenzo Fontana, che sul “Corriere della Sera” del 2 giugno dichiara senza scrupoli di non voler ri/conoscere le famiglie gay: iniziamo bene…) ed un Ministero per il Sud (affidato alla grillina Barbara Lezzi), entrambi “dicasteri senza portafoglio”. Molto (tutto) dipenderà da colui che reggerà le sorti del Collegio Romano (sede storica centrale del dicastero).

E veniamo all’uomo che è stato scelto dai diarchi Luigi Di Maio e Matteo Salvini: Alberto Bonisoli (nato a Mantova, ma vive a Castelletto sopra Ticino da dieci anni, comune di 10mila abitanti in Provincia di Novara), nominato “in quota” Movimento 5 Stelle.
Certamente non è un Carneade (anche se alcuni hanno osservato che fino alla mattinata del 2 giugno non aveva nemmeno una pagina Wikipedia…), ma è un manager della formazione (piuttosto che specificamente manager della cultura), e già questo la dice lunga sull’approccio che è stato adottato: economia, efficienza, efficacia, mercato… Così lo descrive sinteticamente un’agenzia di stampa (Italpress): “Alberto Bonisoli, neo ministro dei Beni e delle Attività Culturali, è nato nel 1961, è esperto di education management e di design e sviluppo di progetti internazionali. È Chief Academic Officer di Laureate Italian Art and Design Education e ricopre ad interim la carica di Head of Institute di Naba. Dal 2013 guida la Piattaforma Sistema Formativo Moda, l’associazione volta a promuovere e rafforzare il sistema italiano di formazione moda. Dal 2005 al 2007, ha ricoperto il ruolo di Senior Consultant presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca”.
Uomo del Nord, dalla prossemica decisa ma pacata, espressione del viso piuttosto malinconica, piglio manageriale (appunto).

L’Ansa approfondisce meglio: “Design, moda e formazione. Sono le competenze del padano Alberto Bonisoli, l’uomo indicato dal premier Giuseppe Conte per la guida del ministero di Beni culturali e turismo. Bocconiano, classe 1961, il ministro che succederà a Dario Franceschini nella tutela, la gestione e la promozione del patrimonio culturale italiano, ma a sorpresa – almeno per ora – anche delle politiche per il turismo (il ministero che M5S avrebbe voluto scorporare) è attualmente a capo della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (Naba), istituzione privata presente in 80 Paesi, che dal 1980 si occupa in Italia di moda, grafica e design, e presidente della rete delle Scuole di Moda. Sposato e padre di due figlie, ha detto nelle scorse settimane di avvertire l’incarico di ministro “come una sfida complessa, che affronto mettendo a servizio le mie competenze e mettendo in gioco quello che sono”. A lungo professore di Innovation Management alla Bocconi, Bonisoli non sembra essersi mai occupato in particolare di patrimonio culturale, interessato piuttosto ai temi della formazione e dell’insegnamento, sua dichiarata “passione”, per i quali vanta collaborazioni nazionali ed internazionali, in particolare con l’Unione Europea e il Miur”.

L’Ansa scava ancora: “un profilo manageriale, orientato in particolare sulle tematiche della innovazione dello sviluppo, aperto ad una collaborazione tra “le capacità del pubblico e le potenzialità del privato”. Già nelle scorse settimane, dopo la sua designazione in campagna elettorale della squadra di governo Cinque Stelle, ha però anticipato alcune delle sue priorità. Tra queste “portare gli investimenti per il patrimonio culturale almeno all’1 per cento del pil, se non oltre” attraverso azioni per “la tutela, la digitalizzazione del patrimonio e cultura diffusa sul territorio, in particolare nelle periferie”. Per il turismo, “Cenerentola nei passati governi” pensa ad una “promozione più forte all’estero” e ad un maggiore “coordinamento centrale”, puntando “su turismo di qualità”, ma anche sulla “accoglienza degli studenti stranieri, che poi tornando in patria sono i nostri migliori ambasciatori”. Cultura e turismo, dice, “Saranno in futuro i principali datori di lavoro, per questo bisogna puntare sulla formazione e valorizzare in particolare l’alta formazione artistico musicale”.

Segnaliamo che in occasione della sua presentazione come potenziale Ministro, Alberto Bonisoli riscosse un applauso, allorquando pose enfasi sulla necessità di sinergie tra “cultura” e “digitale”: musica per le nostre orecchie.

L’agenzia La Presse focalizza: “Ha al suo attivo collaborazioni ed esperienze lavorative con varie istituzioni italiane e internazionali. Sposato, ha due figlie e sui suoi profili social scrive di amare “i cani, il cibo, viaggiare”. Laureato all’Università Bocconi, ha lavorato nell’ateneo milanese, per l’Unione europea, per il Miur ed i ministeri dell’Educazione di Russia e Turchia, e collaborato con lo Studio Ambrosetti – The European House, prima di andare a dirigere la Domus Academy nel 2008. “Ho lavorato con numerose scuole di arte, moda e design – scrive su Facebook – in Italia ed all’estero, dagli Stati Uniti al Regno Unito, Messico, Cina, India, Cile, Nuova Zelanda, Dubai, promuovendo il Made in Italy ed il nostro, originale modo di insegnare le professioni creative nel mondo”.

Il nome di Bonisoli era già nella squadra di governo presentata da Luigi Di Maio in campagna elettorale, proprio per il Mibact. Alle elezioni Politiche del 4 marzo, però, è rimasto fuori. Candidato per la Camera nel collegio uninominale di Milano 1 (vinto da Bruno Tabacci), si è fermato al 13,8 % dei voti.

Cambiamento? Rivoluzione? Non ci sembra. Ben altra scelta sarebbe stata quella di un Tomaso Montanari (lo storico dell’arte, di approccio statalista… ed “anti-Franceschini” per antonomasia), o di un Carlo Freccero (questa sì sarebbe stata una scelta eterodossa, ma che c’è chi scommette su una sua imminente presidenza Rai) o, ancora, di Salvatore Settis (ex Direttore della Normale di Pisa e membro di Libertà e Giustizia, tra i più feroci critici, dieci anni fa, della politica di tagli alla scuola del governo Berlusconi).

Cercando negli archivi della stampa quotidiana, non emerge molto di Alberto Bonisoli, ma dal passato emerge invece il più (tristemente) famoso Franco Bonisoli, ex brigatista rosso, coinvolto nell’omicidio di Aldo Moro, terrorista che “gambizzò” Indro Montanelli, e poi si convertì alla non-violenza. Mera omonimia di cognome, nessuna parentela.

La qualificata testata specializzata “Artribune” (diretta dall’eterodosso Massimiliano Tonelli) nel marzo scorso, ha tracciato un profilo interessante del potenziale neo-Ministro ed ha spiegato perché Alberto Bonisoli ha prevalso su Tomaso Montanari: “L’impressione è che poco o nulla accomuni la sua figura a quella di un ex papabile ministro grillino come Tomaso Montanari, corteggiato già da Virginia Raggi durante la campagna per le amministrative di Roma e di recente intercettato da Di Maio. Anche stavolta, però, l’accordo non c’è stato: divergenze politiche (vedi la questione ‘migranti’) e una certa prudenza da parte dello storico dell’arte anti-renziano, molto legato alla sinistra radicale. Montanari, illustre storico e critico d’arte, è da sempre concentrato sui temi della tutela e della conservazione, più interessato alla qualità dell’esperienza museale che non alla quantità degli ingressi, poco favorevole all’azione dei privati nel campo dei Beni Culturali e a qualunque logica di mercato e di profitto, lontanissimo dall’idea di una gestione manageriale e a favore di un concetto più tradizionale di governance, come pure di fruizione. Bonisoli, con la sua storia professionale, parrebbe collocarsi agli antipodi (in un suo statement elettorale parla non a caso di “formazione in azienda” e di sinergia tra “capacità del pubblico e potenzialità del privato”): più plausibilmente vicino a un Franceschini, se si pensa a misure come l’Art Bonus, alla riforma dei musei, alla spinta verso valorizzazione, internazionalizzazione, grandi numeri, nuovi mercati della creatività. Eppure, per Di Maio, entrambi erano nomi su cui puntare”.

La stessa testata, il 31 maggio, nel commentare la nomina di Bonisoli, ha scritto che nel programma di M5S e Lega, in materia di “cultura”… “c’erano soltanto sciocchezze e superficialità”. “Artribune” (in un articolo firmato “Redazione”) va giù pesante: “la figura di Bonisoli come ministro potrebbe collocarsi in una linea di parziale continuità con Dario Franceschini? Difficile fare previsioni, ma non è escluso se si pensa a misure come l’Art Bonus, alla riforma dei musei, alla spinta verso l’internazionalizzazione. Ma è ancora presto per capire quale sarà la linea operativa del nuovo ministro. Le uniche linee programmatiche sono quelle, quasi umilianti per come sono state scritte a tirar via, piene di banalità e di concetti superati, del Contratto di Governo tra Lega e Movimento 5 Stelle. In quelle pagine, che saranno l’infrastruttura tecnico-politica sulla quale si muoverà l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, c’erano solo sciocchezze e superficialità. Non resta che sperare che Bonisoli sappia interpretare in maniera estensiva quel mandato”.

Tomaso Montanari ha commentato venerdì 1° giugno la formazione del Governo con un titolo inequivocabile, sul suo blog su “Huffpost”: “una farsa nera”. Netto il commento anche su Bonisoli: “Un governo in cui un Movimento del 33 % e “del cambiamento” si fa tappeto e sgabello di un partito del 17 % e che governa da anni mezzo Nord. Un Movimento che firmando il contratto col diavolo, si è venduto l’anima. E che non vedrà realizzato il suo pallido reddito di cittadinanza nemmeno col binocolo. Un governo del merito, con il presidente del Consiglio che scrive il curriculum come i pescatori della domenica raccontano le loro imprese. E con un integralista alla Famiglia, un ginnasta alla Scuola, un manager della scuola privata alla Cultura”.

Alberto Bonisoli è un manager della formazione, specializzato nella promozione di due delle anime più importanti del “made in Italy”, come la moda ed il design.
Manager. Che esprime, per ora almeno, tesi morbide, le stesse che potrebbero essere uscite dalla bocca di un Dario Franceschini (che ha guidato il Mibact dal 22 febbraio 2014 e può farsi vanto di essere stato il Ministro della Repubblica più longevo in questo dicastero). Insomma, non si preannunciano “u-turn”, almeno in queste prime ore: nihil sub sole novum… La parola giusta è forse “continuità”.

A spezzare una lancia proprio a favore della continuità è stato Giuliano Volpe, Presidente del Consiglio Superiore Beni Culturali e Paesaggistici del Mibact (massimo organo consultivo del dicastero), che in una lettera pubblicata da “Huffington Post” ha lanciato un appello a Di Maio: “se sarà premier, l’invito è a non smontare quanto realizzato dal ministro Franceschini in questi anni, ma a proseguire sulla strada tracciata, semmai perfezionando e anche migliorando ulteriormente il nuovo sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale”.
È però certamente prematuro andare oltre. Non abbiamo la palla di vetro. Attendiamo le prime dichiarazioni del neo Ministro, valutiamo lo staff che andrà a costruire, e vediamo anche coloro che saranno scelti come Sottosegretari (nella contrattazione delle poltrone di “sottogoverno”, sarà interessante vedere chi verrà nominato “in quota” Lega al Mibact). E poi, a cascata, ci sarà da decidere alcuni posti-chiavi del Ministero: in primis, il Segretariato Generale (a fine aprile 2017, è stata nominata Carla Di Francesco) e la Direzione Generale del Cinema (l’attuale Dg Nicola Borrelli, co-autore con Franceschini della “legge cinema”, vede il suo contratto scadere a fine anno).

Senza dubbio, Alberto Bonisoli riceve in eredità un dicastero che il suo predecessore ha saputo riformare, deburocratizzare e modernizzare, e (non meno importante) ri-finanziare sostanziosamente, dopo anni ed anni di “vacche magre”. Musei, cinema, spettacolo dal vivo: al di là delle possibili critiche (incertezze di strategia, frammentazione degli interventi, deficit di valutazioni di impatto…), va dato atto a Dario Franceschini di aver smosso le acque di un sistema che per troppi anni (decenni) ha vissuto di conservazione autoreferenziale. Non resta che sperare che, insieme all’acqua sporca (che pure c’è), non si vada a buttare anche il bambino.

Fin d’ora, un augurio sincero di buon lavoro al neo Ministro, convinti che Alberto Bonisoli condividerà almeno una delle tesi, ovvero la necessità di un “sistema informativo” della cultura italiana che sia all’altezza delle sfide che il nuovo Governo deve affrontare.
Non ci stancheremo di ripetere l’esigenza di mettere in pratica la tesi di Luigi Einaudi del “conoscere per deliberare”: la sua ancora inascoltata lezione è forse la causa più grave delle patologie del sistema politico italiano (e non soltanto nell’ambito culturale).

 

Aggiornamenti “last minute”, nel Giorno della Repubblica

Da giovedì sera, negli ambienti professionali dell’industria turistica è presto emersa insoddisfazione, perché a Bonisoli sembrava assegnata anche la delega al Turismo, appunto, in contrasto con quel che risulta a chiare lettere nel capitolo 28 del programma M5S-Lega, che prevede l’istituzione di un dicastero “ad hoc”.
È quindi opportuno proporre un approfondimento, per amor di precisione metodologica.

L’Ansa, alle ore 21.54 di giovedì 31 maggio, è stata la prima agenzia a segnalare ufficialmente che Alberto Bonisoli sarebbe stato Ministro “ai Beni Culturali e al Turismo”.

Un’ora prima, un dispaccio delle ore 21.03 lo preannunciava come Ministro “ai Beni Culturali” soltanto. La prima volta che il nome di Bonisoli appare nei dispacci delle agenzie stampa di ieri è alle or 19.58, a cura dell’Agenzia Italia.

Alcune fonti web dell’indomani (venerdì 1° giugno) riportano notizie contrastanti (ma va precisato che la fonte non sono le agenzie stampa: trattasi di “fake news”?!), secondo le quali il “turismo” verrebbe invece assegnato al Ministro delle Politiche Agricole, il leghista Gian Marco Centinaio. Per esempio, la testata “Tg Tourism” scriveva, e senza porsi dubbi, che Centinaio “sarà Ministro delle Politiche Agricole e del Turismo”. Formalmente, e più precisamente, Centinaio è stato scelto da Conte come “Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali”.

Attingiamo alla fonte primaria, ovvero al testo che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha letto ieri al Quirinale, comunicando “la composizione del Governo”: si legge inequivocabilmente: Alberto Bonasoli, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Carta canta.

Alle 15.01 di venerdì, un’ora prima del giuramento previsto per le ore 16 al Quirinale, ancora l’Ansa ufficializza la lista dei Ministri che stanno per giurare, e Bonasoli risulta ancora ai “Beni Culturali” e “Turismo”.

La confusione è grande.

Nella mattinata di venerdì, alcuni esponenti di associazioni e sindacati si rivolgevano già al neo Ministro: alle 13.28 AdnKronos rilanciava una dichiarazione del Presidente di Federlaberghi, Bernabò Bocca, che precisava l’esigenza di un decreto legge per lo spacchettamento delle deleghe: “per fare il Ministero del Turismo, serve un decreto legge, visto che le deleghe sono in capo al ministero dei Beni culturali. Noi ci auguriamo che venga fatto presto lo spacchettamento e che ci sia presto un ministro esclusivamente del Turismo. Sapevamo che il governo sarebbe nato con il Turismo in capo ai Beni culturali, ma ci aspettiamo presto il decreto legge per spacchettare le deleghe“.

Giovedì sera, il Senatore e neo Ministro Gian Marco Centinaio aveva dichiarato (la notizia è riportata dalla testata specializzata “GuidaViaggi”) che lo spacchettamento delle deleghe sarebbe stato già deciso, e che il turismo sarebbe stato allocato presso il Ministero dell’Agricoltura (a lui giustappunto affidato). Questa operazione di “riallocazione” di competenze e deleghe sarebbe stata prevista già in occasione della prima riunione del Consiglio dei Ministri. In effetti, ciò scriveva lo stesso Centinaio in un post su Facebook, testualmente: “al primo consiglio dei ministri, arriva l’ufficialità del turismo”.

Altri sostengono che il leghista Centinaio (classe 1971, nato a Pavia, per anni direttore commerciale del tour operator Il Viaggio) sarebbe addirittura destinato a reggere un nuovo dicastero, che accorperebbe all’Agricoltura anche il Made in Italy: qualche giorno fa, l’AdnKronos prospettava in effetti la chance di un mega-ministero, che “punterà a sfruttare al meglio le risorse attrattive e ricettive del Paese, facendo leva anche sulla tradizione enogastronomica del Belpaese”.

La questione è controversa: è bene che “cultura” e “turismo” siano associati?!

Culturalmente, senza dubbio, la risposta non può che essere positiva (il nesso tra le due attività è intimo, anche nella dimensione economica), ma, analizzando la tematica e la competenza nella struttura del Governo italiano, emerge come il “turismo” sia stato ballerino, nel corso della storia della Repubblica, nell’allocazione delle politiche ministeriali.

Se il turismo è (soprattutto) “cultura”, è bene che stia “presso” il Ministero della Cultura.

Se è invece (soprattutto) “economia”, allora può essere allocato presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

Si ricordi peraltro che la confindustriale Anica (l’associazione dei produttori cinematografici) ha in passato sostenuto che le competenze dell’industria cinematografica potrebbero essere meglio allocate presso il Mise, piuttosto che presso il Mibact. E ricordiamo che la delicata materia Rai è di competenza del Mise, e non del Mibact… Si tratta di materie complesse, che meritano attenzione.

Segnaliamo che Alberto Bonisoli, in un suo post sulla sua pagina Facebook, scriveva, il 2 marzo scorso: “il petrolio italiano è il Made in Italy. Se il Made in Italy fosse un brand, sarebbe il terzo al mondo: il nostro turismo, i beni culturali, le eccellenze agroalimentari meritano una classe politica che abbia la volontà di valorizzarli e proteggerli”.

È opportuno un approfondimento sulla questione “turismo” e “cultura”, in termini istituzionali. Fino al 1989, in Italia c’era un Ministero del Turismo e Spettacolo (notare: prima il “turismo” e poi “lo spettacolo”) istituito dal Governo Segni II nel 1959, abrogato con referendum popolare promosso dai Radicali. Il “turismo” iniziò a vagare… Il Ministero per i Beni Culturali e per l’Ambiente è stato istituito nel 1974, dal Governo Moro IV, scorporando alcune competenze dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1998, fu poi istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che raccolse tutte le precedenti competenze e funzioni, alle quali vennero aggiunte: la promozione dello sport e la promozione delle attività dello spettacolo in tutte le sue espressioni. Nel 2006, con il Governo Prodi II, la promozione del turismo, precedentemente affidata al Ministero dello Sviluppo Economico, venne affidata alla Presidenza del Consiglio, presso il nuovo Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo, tuttavia la responsabilità di questa struttura venne affidata al Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli (che era anche Vice Premier). Nel Governo Berlusconi IV, la competenza sul Dipartimento viene dapprima delegata alla Sottosegretaria Michela Vittoria Brambilla, e successivamente, nel maggio 2009, la stessa Brambilla viene nominata Ministro senza portafoglio con delega al Turismo, conservando la guida politica del Dipartimento. Nel 2012, col governo Monti, il Dipartimento venne unificato a quello per gli Affari Regionali e all’Ufficio per lo Sport, creando il Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport. Nel 2013, il governo Letta affida al Ministro Massimo Bray le competenze del turismo al Ministero, che assume dunque l’attuale denominazione di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, e l’acronimo storico “Mibac” diviene “Mibact”.

Percorsi tortuosi, nei quali ha quasi sempre verosimilmente prevalso la logica di “spartizione” partitocratica, piuttosto che una analisi strategica lungimirante…

La questione non è soltanto amministrativa, e nominalistica, o, peggio, burocratica, ma strategica, appunto, perché sintomatica della “vision” complessiva di un esecutivo.

Forse, nel “Programma del Governo del Cambiamento” sarebbe stato opportuno proporre un ragionamento critico per una nuova prospettiva anche rispetto alla “organizzazione” delle deleghe nella composizione dell’Esecutivo.

Era comunque interessante verificare cosa sarebbe stato deciso nella prima riunione del Consiglio dei Ministri del Governo presieduto da Conte: questa “geografia” (ed economia ed alchimie) delle competenze è questione delicata e strategica al tempo stesso, perché consente di focalizzare più concretamente le “policy” del Governo. Lo scarno “Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 1” della Pdcm segnala la nomina di Giancarlo Giorgetti a Sottosegretario ovvero Segretario del Consiglio dei Ministri, l’attribuzione delle funzioni ai Vicepresidenti del Consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio, gli incarichi specifici ai Ministri senza portafoglio. Nessuna traccia dello “spostamento” del turismo o dell’ipotizzato nuovo dicastero per il “Made in Italy”. Va anche osservato che si è trattato di una prima riunione-lampo, essendo iniziata alle 17.38 ed essendosi conclusa alle 17.55 di venerdì 1° giugno 2018… Non risulta la data di convocazione della prossima riunione, che sarà forse la prima concretamente operativa.

Non resta che attendere le prime mosse e le prime sortite del Ministro Alberto Bonisoli: oggi sabato 2 giugno 2018, almeno fino alle ore 17, nessun dispaccio di agenzia riportava dichiarazioni di sorta del neo-Ministro ma abbiamo avuto chance di osservare la prima uscita pubblica del Ministro in serata, in occasione della affollatissima manifestazione grillina a Bocca della Verità (era stata convocata per contestare le scelte del Presidente Sergio Mattarella, ma poi è stata “riconvertita” di kermesse di festa per il nuovo Esecutivo…). Il neo-Ministro, chiamato dal Premier Luigi Di Maio sul palco insieme ai suoi colleghi “in quota” M5S, ha espresso, con piglio deciso (con aria seriosa assai, ma non senza qualche guizzo ironico) alcuni concetti-guida:

– promuovere la fruizione della cultura a partire dalla scuola (è sembrato sembra quasi più il titolare del Miur che del Mibact…);

– stimolare la conoscenza del patrimonio culturale ed artistico con logica di prossimità (“spesso i cittadini non conoscono le bellezze che hanno magari a distanza di tre chilometri da dove vivono…”);

– coinvolgere i lavoratori dei beni culturali nei processi normativi che li riguardano;

 effettuare verifiche serie su “come” vengono spesi i danari pubblici (c’è bisogno di capire…), promuovere il “made in Italy” in modo organico (superando le tante parcellizzazioni di competenze)…

Si tratta di dichiarazioni di intenti interessanti e valide, che vanno ben oltre la pochezza di idee espresse nel tanto decantato “Contratto per il Governo del Cambiamento”.

Rispetto al “turismo”, Bonisoli ha chiarito che “per i primi tempi” sarà lui ad occuparsene, nelle more della costruzione di un ministero “ad hoc” (con buona pace, per ora, del collega leghista Centinaio, viene da commentare).

Beppe Grillo ha concluso la kermesse con uno “show” all’altezza della sua migliore tradizione istrionica, e non sono mancate un paio di battute sulla cultura, e sull’esigenza di promuoverne lo sviluppo: ha ricordato che un 30 % degli italiani non è quasi in grado di leggere e che il 40 % non va mai a teatro… Rispetto a Bonisoli, ha scherzato – per enfatizzare che non è stato coinvolto nella scelta dei “cittadini ministri” – sostenendo che lo aveva scambiato per un addetto alla sicurezza della manifestazione (ed in effetti, Bonisoli era vestito di nero, con il look più istituzionale tra i Ministri sul palco).

*Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

 

Clicca qui, per leggere il “Contratto per il Governo del Cambiamento” co-redatta da Movimento 5 Stelle e Lega Salvini Premier, firmato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, versione definitiva del 18 maggio 2018.

Clicca qui, per vedere l’intervista di Tgcom24 ad Alberto Bonisoli, il 26 febbraio 2018, allora candidato alla Camera nel Collegio Uninominale Milano 1, nominato il 31 maggio 2018 Ministro della Cultura.

Clicca qui, per vedere la presentazione di Alberto Bonisoli, da parte di Luigi Di Maio, candidato Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo in un governo a guida Movimento 5 Stelle, il 1° marzo 2018.

Clicca qui, per leggere il “Report delle Attività” del Mibact guidato da Dario Franceschini, pubblicato il 22 febbraio 2018.


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