7° venerdì di manifestazioni nella Striscia di Gaza per la grande marcia del ritorno e per la fine dell’assedio

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Per il settimo venerdì consecutivo i Palestinesi di Gaza hanno manifestato pacificamente, e le forze israeliane hanno sparato per uccidere: un palestinese ha perso la vita mentre oltre 700, tra cui 43 bambini e 7 donne, sono stati feriti. Tra i feriti, di cui 24 in condizioni critiche, anche 6 giornalisti e un operatore sanitario.  Moltissime le persone intossicate e ferite dalle bombole di gas lacrimogeni, che sono state lanciate dai droni anche sulle migliaia di civili che manifestavano pacificamente, cantando e lanciando aquiloni, negli accampamenti situati ben lontani dal confine. Di nuovo sono state prese di mira anche le ambulanze della Mezzaluna rossa parcheggiate per i soccorsi e i l’giornalisti, con l’intento preciso di ostacolare i soccorsi sanitari e l’informazione.

Il bilancio dal 30 marzo è pesantissimo. Sono 47 i palestinesi uccisi, di cui 5 bambini (52, se si considerano quelli uccisi al di fuori delle proteste) e oltre 8500 i feriti, di cui 2000 colpiti da fuoco vivo, 187 in gravi condizioni, 24 amputati per il rifiuto di Israele di farli uscire da Gaza. (dati del Ministero della Sanità). Rispetto al totale 793 sono i bambini e 283 le donne.

Secondo quanto rilevato sul campo da operatori del PCHR (Centro Palestinese per i Diritti Umani) e da operatori esteri della cooperazione (ai giornalisti stranieri è vietato l’accesso), in nessun momento i manifestanti hanno costituito un pericolo per le forze israeliane schierate a centinaia di metri, e ben protette da una recinzione di sicurezza e da fortificazioni, tra cui un’enorme barriera di sabbia, oltre che dai mezzi di difesa personali. Per questo, anche nei casi in cui i giovani si sono avvicinati al confine, non potevano costituire alcuna minaccia poiché disarmati o muniti solo di sassi e di copertoni bruciati per rendersi poco visibili ai cecchini.

Al contrario, i soldati israeliani hanno usato proiettili vivi ed esplosivi, che lacerano le carni e frantumano le ossa dopo l’entrata, prendendo deliberatamente di mira i manifestanti con l’obiettivo di ucciderli o di causare invalidità permanenti, come hanno denunciato ormai numerose organizzazioni internazionali (Medici senza Frontiere, Amnesty International, la prestigiosa rivista internazionale di medicina Lancet), avendo osservato che i punti prevalentemente  colpiti sono testa, collo, parte superiore del corpo, ginocchio, inguine. E mentre cresce il numero dei feriti, gli ospedali di Gaza, già provati da 11 anni di embargo, sono al collasso. Mancano medici, operatori, presidi chirurgici e sanitari, medicine, energia elettrica.

I feriti sono adagiati nei corridoi, i meno gravi mandati a casa, e Israele rifiuta di accogliere nei suoi ospedali i più gravi, perché colpevoli di aver partecipato alle proteste: per questi non resta che l’amputazione o la morte. Devastante la situazione per i bambini, direttamente colpiti, o che hanno visto morire i propri familiari, e già scossi e destabilizzati dagli effetti dell’operazione Piombo fuso del 2014.

Quelli che sta attuando Israele sono crimini contro l’umanità, che vanno denunciati alla CORTE CRIMINALE INTERNAZIONALE (CPI). Essi sono il risultato dell’impunità assoluta di cui Israele gode da parte di tutta la Comunità Internazionale, in primis da parte degli Stati Uniti, che incoraggiano questo paese a commettere sempre nuovi ed ulteriori crimini, e a seguire anche da parte della Unione Europea e di ogni singolo suo stato, che non sta facendo nulla per fermare un paese, Israele,  che non da ora avrebbe dovuto essere fermato ed incriminato.

L’Italia eccelle negativamente anche in questo caso, avendo regalato ad Israele il Giro d’Italia, proprio nel 70° anniversario della Nakba, in cui decine di migliaia furono i Palestinesi uccisi ed almeno 800.000 quelli espulsi con la forza, e ancora peggio, in occasione del riconoscimento da parte degli USA di Gerusalemme come capitale di Israele. Contro un simile paese, ma anche contro il suo sponsor, va invocato l’embargo militare, come ha già fatto Amnesty International.

Loretta Mussi
Rete romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese


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