Turchia, mandato di arresto internazionale per Can Dundar mentre Ankara accusa Gülen dell’omicidio dell’ambasciatore russo nel dicembre 2016

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Da ieri l’ex direttore di Cumhuriyet, Can Dundar, è un ricercato “ad altissima pericolosità.

La Turchia ha spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura di livello ‘rosso’ nei 181 Paesi membri dell’Interpol come da tempo chiedeva il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che lo ha sempre accusato di essere un ‘terrorista’.

A formalizzare la richiesta la Corte di Istanbul che persegue il giornalista con l’accusa di propaganda a favore di organizzazione terroristica, spionaggio e diffusione di notizie relative alla sicurezza nazionale.

Eppure l’unica ‘colpa’ che gli viene imputata è di  aver pubblicato, a fine maggio del 2015, delle immagini che documentavano un traffico di armi attraverso il confine turco siriano.

Il video, del 2012, mostrava una perquisizione della gendarmeria turca che ispezionava alcuni tir dei servizi segreti di Ankara diretti in Siria attraverso la frontiera dell’Hatay.

Dundar fini  in carcere  insieme al capo della sede di Cumhuriyet ad Ankara, Erdem Gul, accusato dello stesso reato.

I due sono stati condannati in primo grado rispettivamente a 5 anni e 10 mesi, il primo, e a 5 Gul.

L’unica colpa per entrambi: aver pubblicato una notizia che non è mai stata smentita, quella del coinvolgimento di Ankara nell’invio di armi ai guerriglieri jihadisti in Siria. Per quelle accuse hanno trascorso quattro mesi in prigione e furono scarcerati solo su richiesta della Corte Costituzionale che aveva rilevato con la detenzione la violazione dei loro diritti. Can Dundar ha sempre ribadito con forza che né lui né il suo collega erano spie, né traditori, tanto meno ‘eroi’ ma semplicemente giornalisti.

L’ex direttore di Cumhuriyet, nel maggio 2016, è stato anche vittima di un tentativo di omicidio di fronte al Tribunale di Istanbul, dove era in corso il processo. Da quel momento ha deciso di rifugiarsi in Germania dove ha fondato il portale informativo sulla Turchia “Özgürüz”.

Nelle ore in cui veniva emanato il provvedimento di arresto per Dundar, la Procura di Ankara spiccava un nuovo mandato di cattura per l’imam in auto esilio negli Stati Uniti, Fethullah Gülen, già ritenuto ideatore del fallito colpo di Stato in Turchia del 15 luglio 2016. La nuova accusa è di presunti legami con l’omicidio dell’ambasciatore russo nel dicembre nel 2016. Chiesto l’arresto anche per l’editorialista Emre Uslu e altre sei persone sospettate di complicità. Questa volta gli USA, che sinora si sono sempre opposti a consegnare ai turchi il predicatore islamico,  sarebbero orientati a estradare Gülen, vista la gravità delle imputazioni che gli vengono mosse da Ankara: aver orchestrato non solo il tentato golpe ma anche l’assassinio di Andrei Karlov.

Resta da capire il ruolo attribuito a Uslu, che null’altro avrebbe fatto se non scrivere di quanto accadeva in quei giorni.

La Turchia è in questo momento la più grande prigione al mondo per i giornalisti, ogni giorno ci sono nuovi fermi e al momento sono almeno  150 i colleghi dietro le sbarre. Fare il giornalista sotto lo Stato di emergenza significa mettere a rischio la propria vita, come  se si fosse inviati su un fronte  di guerra, il rischio è costante.

La maggior parte dei media si sono allineati sulle posizioni del regime, oppure si autocensurano mentre le poche voci libere vengono silenziate con la prigione.

Per loro, insieme a una folta rete di organizzazioni di tutela dei giornalisti e della libertà di stampa che ha promosso la campagna Free Turkey Media, Articolo 21 sarà il 27 aprile a Istanbul tra gli osservatori del processo Cumhuriyet che vede 18 tra giornalisti, collaboratori e vertici editoriali del giornale – tra cui gli stessi Dundar e Gul, seppur in un altro troncone dello stesso procedimento – imputati di supporto al terrorismo.

Seguiremo le quattro udienze che riprenderanno il 24 aprile al termine delle quali sarà emesso il verdetto. Saremo lì, nel penitenziario di Silivri, per portare solidarietà e vicinanza ai nostri colleghi e ribadire con forza #nobavaglioturco.


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