Il senso di Libero per il giornalismo

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Perché condannare il titolo di Libero “Un richiedente asilo su due è matto da legare” significa difendere la dignità del giornalismo italiano

di Valerio Cataldi

Pensavamo di aver visto il peggio nella recente campagna elettorale, ma ci siamo sbagliati. Oggi Libero torna alla carica con una delle sue migliori performance e lancia l’allarme sulla follia, annunciando che un immigrato su due è pazzo e, dunque (dedurrà il lettore), è pericoloso. A dire la verità è un tema ricorrente sulle pagine di quei quotidiani che non amano tanto offrire notizie e analisi dei fatti, quanto invece solleticare il nostro sistema nervoso per invitarci a prendere posizione contro “l’invasione”, o, più precisamente, contro “l’invasore”. È così che nascono titoli come: “Malaria extracomunitaria”, “Scabbia per 2 mila profughi”, “i disturbi mentali di chi arriva sul barcone”, “allarme sanità in Italia: frontiere aperte a ebola, lebbra e scabbia”. Ma oggi Libero sceglie di offrirci il peggio con un titolo di apertura che ci avvisa che “un richiedente asilo su due è matto da legare”.

E a garantire la fondatezza scientifica di questa affermazione, addirittura si spinge a citare Medici senza frontiere, che Libero fino a ieri considerava “temibile importatore di clandestini”, ma che per questa occasione diventa una “organizzazione meritoria che cerca di tutelare la salute dei profughi”. Non abbiamo alcun dubbio che domani Msf tornerà ad essere agli occhi di Libero la “terribile Ong” che naviga nel mediterraneo per agevolare l’invasione.

L’ironia è necessaria per riuscire ad affrontare la scrittura di questo commento, anche se non basta a normalizzare e a rendere accettabile il linguaggio e la comunicazione deviata e deviante di questo titolo, di questo modo di intendere l’informazione.

Di nuovo, ci troviamo di fronte all’utilizzo distorto di studi e di statistiche che ha il solo scopo di creare allarme e sollecitare paura. Lo avevano fatto appena una settimana fa con un titolo intollerabile che ci diceva che un femminicidio su 4 è opera di un “immigrato”, come se gli altri tre fossero meno preoccupanti perché fisiologicamente autoctoni, cose di casa nostra.

Stavolta però Libero riesce ad andare oltre, addirittura resuscita strutture chiuse per decreto: i manicomi giudiziari che in realtà avevano da lungo tempo cambiato nome in ospedali psichiatrici giudiziari. Nonostante siano stati aboliti nel 2013 e definitivamente chiusi esattamente tre anni fa, a marzo del 2015, Libero ci informa che la popolazione “detenuta” (sbagliando anche qui termine perché eventualmente si tratterebbe di internati) per il “17 % viene dall’estero”.

A leggere l’articolo però si scopre che i dati non sono esattamente quelli del titolo, da uno su due si scende ad “almeno un richiedente asilo su tre” che soffre di disturbi mentali. Andando poco più avanti nella lettura scopriamo che in effetti diminuiscono ancora: quando si pone la domanda sul perché di tale diffusione, l’esperto esordisce nella risposta dicendo “secondo me sono meno”.

Il meglio però è nel corpo del pezzo portante dell’”inchiesta” dove si legge: “L’Italia continua a ricevere un flusso migratorio incontenibile, ma mancano studi epidemiologici necessari a individuare le etnie più a rischio di sviluppare problemi psichiatrici.”

Etnie a rischio di sviluppare problemi psichiatrici. Insomma è un invito alla ricerca scientifica affinché avvii studi e ricerche che ci forniscano gli strumenti per difenderci dalle etnie pazze all’origine. L’allarme è talmente importante che Libero rimprovera i partiti politici di non aver inserito il tema nel programma elettorale. Del resto, come si legge nell’editoriale di apertura: “il problema è che non siamo oscurantisti, e non ci va di mettere i braghettoni alle oscenità della vita”.

Questa triste pagina del giornalismo italiano segna un ulteriore passo avanti verso il baratro, di quel genere di scrittura approssimativa, scorretta e intrisa di odio e razzismo che si perpetua nel più totale disprezzo del criterio deontologico fondamentale: “il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati”. Quella regola elementare, persino banale, viene infranta continuamente sempre dagli stessi personaggi, dagli stessi giornali senza che si inneschi un meccanismo sanzionatorio capace di restituire dignità al lavoro giornalistico e senso compiuto all’Ordine stesso che nella legge che lo istituisce si richiama alla verità dei fatti. Per questo torniamo a ribadire l’appello all’Ordine dei giornalisti ed alla Federazione della Stampa perché si affronti con decisione la questione delle regole deontologiche. Giovanni Maria Bellu, che mi ha preceduto alla presidenza dell’associazione Carta di Roma ha chiesto che di fronte alla violazione sistematica ed al rifiuto assoluto delle regole professionali, si prenda in considerazione di applicare la sanzione massima, la radiazione. Credo che di fronte a quanto continua e continuerà a ripetersi non si possa trovare altra strada. Non per la difesa dei migranti, ma per la difesa della dignità del giornalismo italiano e della verità dei fatti.

Da cartadiroma


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