“Siamo umani solo attraverso l’umanità degli altri”, ritratto di Nelson Mandela e pratiche dell’identità

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Chi o cosa determina il concetto di identità del singolo e del gruppo? Le pratiche dell’appartenenza e dell’esclusione sono innate o artificiali? Pubblicato in seconda edizione ad aprile 2017 con Cose d’Africa, Nelson Mandela. Una luce per tutti di Pap Kan ripercorre i punti salienti della singolare vicenda di Madiba. La mobilitazione politica, la prigionia, l’amore e la vita privata nonché quella di pubblico dominio e a tutti nota venuta dopo la scarcerazione. La strenua lotta alla Apartheid affinché “ciascun essere umano avesse il diritto di non essere trattato così com’è accaduto a lui”. Un uomo, Nelson Mandela, con un “principio dominante: gli stessi diritti per tutti indipendentemente dal colore e dal sesso”, convinto che nessuno è interamente buono o cattivo ma che in tanti si comportano “come delle bestie” perché  in base a questi comportamenti vengono premiati, lodati, fanno carriera o diventano personalità note.

Per Mandela l’Occidente ben rappresenta il bastione delle ambizioni personali: ogni individuo si batte per arrivare primo e sorpassare gli altri. In Africa la nozione di individualismo non è mai penetrata così tanto nel tessuto sociale anche se i secoli di contatto con i colonizzatori prima e i partner politici e commerciali poi ha profondamente modificato le etnie preesistenti.

I Britannici proposero, durante la convenzione nazionale riunitasi a Durban, il principio della superiorità dei bianchi. Il Colour Bar (Codice del Colore, ndr.), che regolava le relazioni interrazziali, stabiliva che “un nero contava poco più di un animale”. Una legge fondiaria del 1913 decretò che i neri non potevano possedere più del 7,8% delle terre sudafricane. La Risoluzione 134 del 1 aprile 1960 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannò i massacri e impegnò il governo sudafricano ad abbandonare la sua politica di Apartheid, ma questi “continuò a massacrare i neri”. Ed è in questo clima di tensioni e scontri che matura la personalità di Mandela, la sua intolleranza alle ingiustizie, la sua profetica forza e la determinazione basata sul “verdetto puro e semplice dell’immoralità assoluta dell’Apartheid”.

Nelson Mandela, chiamato rispettosamente Madiba dalla sua gente per rimarcare le sue nobili origini, apparteneva egli infatti al clan del re di Thembu, era convinto che l’umanità che è in ognuno di noi emerga solo attraverso quella degli altri. Il principio dell’empatia, dell’entrare in sintonia con l’altro che in Africa è una religione praticata fin da piccoli mentre in Occidente è semplice materia di studio. Innegabile infatti che il principio fondante della cultura occidentale è la “ossessione classificatrice”, in base alla quale non si riesce proprio a sopportare “né che una sola gente stia in più posti, né che nello stesso posto stiano genti diverse”. La nascita delle nazionalità moderne in Africa, a partire dalla colonizzazione, si deve infatti proprio a questo principio, o meglio a questa ossessione.

La nozione etnografica di confine, ricordata anche da Pier Giorgio Solinas in Luoghi d’Africa. Forme e pratiche dell’identità (La Nuova Italia Scientifica, 1995), prevede due livelli: quello “soggettivo” allorquando ogni gruppo si chiude là dove la sua somiglianza cessa, “dove il potere di uniformità ch’esso detiene nel suo interno cede a poteri d’uniformità altrui”, e l’altro “artificiale” o coloniale posto in essere quando “la fluidità sociale è indomabile”, quando le genti si assomigliano troppo e, soprattutto, si mescolano troppo facilmente e così accade che “qualcuno” interviene a “mettere ordine” stabilendo chi deve assomigliare ad altri e chi deve differenziarsi, “somministra confini e pretende che il discreto interrompa il continuo”.

Dadilahy, anziano Vezo del Madagascar, affermava che “in realtà la gente è solo un’unica gente, ma è il matrimonio che la separa” – “olo raiky avao, fa fanambalia ro mampisarasky”. Tutti sono imparentati fra loro, tutti costituiscono un’unica, vasta famiglia di relazioni. Il matrimonio separa questa unità in quanto crea la “differenza” che deve esistere tra due persone perché possano sposarsi. Parafrasando le parole di Dadilahy si potrebbe affermare che il confine artificiale o coloniale tra i popoli serve per definire ciò che di ogni popolo sarà il destino.

Fin dai primi anni del Novecento, le relazioni tra etnie saranno guidate essenzialmente dall’amministrazione coloniale che crea nuovi rapporti e nuove gerarchie a seconda delle politiche messe in atto. Ogni azione del “potere bianco”, dalla conquista alla gestione corrente, si appoggia su uno o più gruppi in particolare, contro altri gruppi rivali, “o resi tali proprio dall’intervento europeo”, e si ripercuote sulle relazioni interetniche.

Quanto universali fossero i principi su cui Nelson Mandela ha basato la sua lotta ben lo aveva compreso Eric Wolf, antropologo austriaco del secolo scorso, il quale affermava che è necessario abbandonare concettualizzazioni rigide delle singole società e studiare invece i modi di una rete di relazioni che, a partire dal Cinquecento, coinvolge l’intero pianeta. Un uomo con un obiettivo predominante: gli stessi diritti per tutti indipendentemente dal colore e dal sesso. E tutto il resto della sua vita è stata “una tattica per raggiungere questo nobile obiettivo”. Mai così sensato come ora che la globalizzazione ha reso tutti più vicini e interdipendenti.

Bibliografia di riferimento

Pap Kan, Nelson Mandela. Una luce per tutti, Teramo, Cose d’Africa Edizioni, 2017.
Pier Giorgio Solinas (a cura di), Luoghi d’Africa. Forme e pratiche dell’identità, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995.

Biografia Autori

Pap Kan: è scrittore, musicista e compositore senegalese. Autore di numerosi libri e studioso della cultura africana.

Pier Giorgio Solinas: Antropologo ed etnologo italiano. Insegna all’Università di Siena. Ha diretto il programma di ricerca nazionale sulla Dipendenza. Si è dedicato anche allo studio dei linguaggi genealogici, dei sistemi di classificazione bio-molecolare nella parentela.

Nel saggio Luoghi d’Africa. Forme e pratiche dell’identità da lui curato sono presenti contributi di: Rita Astuti, Simonetta Grilli, Berardino Palumbo, Fabio Viti.


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