“Fedele alla linea”, le periferie del mondo viste da Costantini

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Il giornalismo si evolve e trova forme alternative per raggiungere nuovi e diversificati settori della società.
Tra queste il Graphic Journalism rappresenta umo dei campi in espansione e spesso le pubblicazioni, attraverso il disegno, offrono una rilettura delle vicende con un approccio più immediato, connesso alla presenza del soggetto disegnato.
Un libro di recente uscita, “Fedele alla linea”, (Becco Giallo Edizioni) di Gianluca Costantini, è un’esemplare espressione del genere.
Giornalista con una formazione artistica, Costantini da oltre dieci anni si dedica al racconto per immagini del quotidiano, dalla cronaca, agli esteri, dal sociale ai diritti umani.
Il tuo libro è connesso alla vicenda di Giulio Regeni e sostieni la campagna per verità e giustizia dei genitori e di Amnesty. Quando e perché hai deciso di farne una tua battaglia?
«Pur non essendo il libro dedicato ma a un disegnatore, Aleksandar Zograf, che raccontò il bombardamento su Belgrado e Pančevo, la sua città, durante la prima presentazione a Trieste mi è venuto spontaneo disegnare sul libro Giulio e l’hashtag #veritaeprgiulioregeni. Da lì ho deciso che avrei dedicato tutte le copie a Giulio. La cosa è piaciuta molto e serve a far veicolare il messaggio nei network, con la scusa del libro parliamo di cose più importante che “vendere” e basta. Ho disegnato il primo ritratto di Giulio quando scomparve, quindi prima della sua morte, succede spesso che io disegni le persone nel momento della loro scomparsa, purtroppo spesso succede che queste persone non vengono più ritrovate. Ed è quello che è successo con Giulio. Per quanto mi riguarda la figura di Giulio è diventato una icona di lotta per la verità, anche per altre ricerche. Da quel momento l’ho disegnato spesso seguendo un po’ gli avvenimenti e cercando di contribuire alla cosa seguendo le dichiarazioni e le azioni dei genitori, anche collaborando con Amnesty Italia e Riccardo Noury. Più che una battaglia è una ricerca ».
Quando hai capito che fare vignette sarebbe stato, più che il tuo futuro lavoro, una vera e propria vocazione?
«Dal 2004 ho applicato il mio sapere del disegno e della parola all’attivismo, disegnavo e pubblicavo già da una decina di anni, ma ero arrivato ad un punto morto. Avevo bisogno di immergermi negli altri. Non le chiamerei vignette, le vignette vengono subito collegate alla satira, io faccio altro, realizzo un disegno politico che sfrutta la comunicazione del fumetto per parlare di altro. Spesso mi rifaccio alle parole del fotografo Luigi Ghirri e sostituisco la parola “fotografia” con “disegno”: Quando noi disegnamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo. E io, con la mia storia, ho percorso esattamente questo itinerario, relazionandomi continuamente con il mondo esterno, con la convinzione di non trovare mai una soluzione alle domande, ma con l’intenzione a porne. Perchè questa mi sembra già una forma di risposta.Poi sono state le altre persone, quelle che veramente vivono i problemi a darmi la forza e l’entusiasmo di realizzare così tanti disegni. Quando la madre di un ragazzo condannato alla crocifissione in Arabia Saudita ti scrive per ringraziarti per quello che ho fatto per suo figlio (http://channeldraw.blogspot.it/2016/01/please-allow-me-to-introduce-myself-i.html) oppure quando un leader dell’indipendenza del Biafra chiede il mio aiuto, quando degli attivisti turchi mi chiedono di aiutarli, tutto diventa incredibilmente forte e utile. L’arte scende nella lotta.
Qual è il tuo approccio verso i temi impegnati?
«Io cerco sempre di mettere prima l’umanità, la persona. Qualsiasi sia il tema, il problema, il conflitto la persona viene prima, anche se questa persona è la parte cattiva del problema. In tutti questi anni attorno al mia lavoro si è costruita una comunità che si aggira nel mio profilo twitter https://twitter.com/channeldraw una comunità non mainstream ma di contenuto e di condivisione. Per molti giornalisti, attivisti, politici, famiglie sono diventato un punto di riferimento e credibilità e questa credibilità è data proprio dalle loro informazioni che spesso creano proprio le storie che racconto oppure che seguo. Questo forse è il migliore approccio per questi temi impegnati, un approccio di gruppo».
Pensi che con le vignette si possa rendere interessante, originale, quei temi che a volte appaiono retorici?
«La retorica, che io considero comunque utile, spesso può diventare controproducente. I disegni possono raccontare diversamente ciò che è reale, imprimendo nel pensiero un’immagine, una parola, molto più efficacemente di un lungo scritto, oppure di scatti fotografici. La cosa migliore è creare un misterioso equilibro tra il nostro interno e il mondo esterno. L’importante è fermare lo scrolling che si fa sui network e far pensare, almeno per un attimo, le persone».
A cosa ti ispiri? Hai dei maestri?
«Non saprei, credo di far parte di quel mondo parallelo che è l’arte, mi piace pensare di essere la continuità con altri artisti, che quello che è stato fatto anche un secolo fa possa essere continuato a volte con un piccolo contributo altre volte con un grande contributo. E’ un pensiero utopistico ma l’arte lo deve essere per rimanere indipendente, quasi come una religione che come fede la creazione della bellezza. Perché anche se si fa un arte di lotta, impegnata, che si sporca con la realtà è sempre una visione di bellezza della vitá».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Vorrei continuare ad avere la possibilità di disegnare in “libertà” i disegni sui diritti umani e sul mondo in generale, mi piace disegnare sempre e questo è il mio obiettivo. Non voglio imboccare autostrade: comincio a Bologna, devo uscire a Milano e non mi interessa tutto quello che succede ai lati. La verità è che mi interessano più le uscite, non mi piace avere un progetto ben definito, si ci sono degli itinerari che voglio seguire, ma mi piace anche imbattermi in cose che arrivano e che non ti aspetti. Come diceva Josef Albers: Allenare la matita a seguire l’occhio.
Per questo non ti so dire quali saranno i progetti futuri, vivo nel presente continuo. ».


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