Chi fa la spia, è figlio di Maria

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Finalmente è stata approvata la legge che protegge da rappresaglie aziendali, chi denuncia i vertici corrotti nel proprio ambiente di lavoro. Non è solo una norma contro la corruzione, è un’evoluzione antropologica. Che segna il passaggio di priorità della legalità come bene comune, sui rapporti personali. La rivoluzione culturale della legge che protegge chi “soffia il fischietto” (whistleblower) e proprio nell’essere opposta al concetto di familismo amorale tipico di gran parte del Paese. Che ha sempre imposto di difendere i membri della propria famiglia – e per estensione del proprio gruppo di lavoro – a prescindere dalla moralità dei loro comportamenti.
E il risultato è ancora più clamoroso, perché è arrivato grazie a una vasta raccolta firme, con una pressione dalla società civile così imponente, da dover essere colta dai partiti, meno quelli guidati da B e sodali, che casualmente hanno più condannati e inquisiti. Solo con questa mobilitazione ampia di associazioni di cittadini – prima fra tutte Riparte il futuro – è stato possibile battere la lobby del malaffare, proprio nel periodo in cui l’Italia è più esposta a corruzione e strapotere delle mafie.  Ora  deve essere chiaro anche ai più delusi, che come semplici cittadini possiamo cambiare il Paese. Perché la criminalità organizzata si batte solo con l’onestà organizzata.

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