Prima udienza del processo a sei giornalisti per le mail hackerate del genero di Erdogan, scarcerato uno dei tre in carcere

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La natura estremamente debole dell’accusa, le ‘notizie’ presentate come prove che non corrispondono alle imputazioni, un teorema accusatorio in contraddizione con la logica, a cominciare dalla contestata affiliazione a più organizzazioni terroristiche schierate su fronti opposti.
Questo in estrema sintesi è quanto emerso durante la prima udienza del processo che si è aperto ieri a Istanbul a 6 giornalisti ritenuti ‘terroristi’ per aver pubblicato alcuni articoli relativi al contenuto di mail hackerate a diversi esponenti dell’Akp, il partito di maggioranza del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, tra cui il genero di quest’ultimo e ministro dell’Energia Berat Albayrak.
Gli imputati sono Tunca Ogreten, ex direttore di Diken, un portale di notizie di opposizione, Omer Celik, redattore dell’agenzia di stampa pro-curda Dicle, Mahir Kanaat, giornalista di BirGun, un quotidiano di sinistra, tutti e tre in prigione da dieci mesi, là reporter freelance Derya Okatan e i colleghi Eray Sargın e Metin Yoksu, questi ultimi passati al regime di libertà vigilata il 18 gennaio del 2017.
Al temine della prima giornata di dibattimento il giudice ha disposto la scarcerazione di Celik, chiesta dal suo avvocato, mentre ha respinto la stessa richiesta avanzata dai rispettivi legali per Ogreten e Kanaat.
Per tutti loro, ai quali è stata attribuita la responsabilità di ‘divulgazione di segreti dinstao’, gli arresti sono scattati il 25 dicembre dello scorso anno nell’ambito di un’inchiesta su alcuni indirizzi di posta elettronica violati dal gruppo di esperti telematici ‘RedHack’, in particolare quelli del ministro Albayrak.
I sei giornalisti furono prelevati dalla polizia turca dalle proprie case a Istanbul, Ankara e Diyarbakir e rinchiusi in carcere senza che gli fosse stata contestata alcuna imputazione ufficiale.
Secondo quanto denunciato dall’International Federations of Journalists durante l’arresto Ömer Celik fu brutalmente malmenato, sorte toccata in seguito anche agli altri nel corso della detenzione.
Dopo il fermo preventivo di 24 giorni, per Celik, Kanaat e Ogreten fu confermato il carcere.
La ‘colpa’… aver pubblicato la notiziai dello scambio di mail tra l’esponente dell’Akp e i vertici di una società di trasporto petrolifera denominata PowerTrans, in cui lo stesso Albayrak avrebbe un ruolo esecutivo.
A far arrivare questo materiale ai media il gruppo di hacker marxisti che ha rivendicato la responsabilità del cyber attacco e ha creato una chat di messaggistica diretta su Twitter in cui ha inserito numerosi giornalisti.
I colleghi alla sbarra pur avendo diffuso solo il contenuto con rilevanza pubblica della corrispondenza sono finiti nel mirino del governo.
In particolare Tunca Ogreten che, sulla base di quanto rilevato dalle mail, ha raccontato del coinvolgimento di Albayrak nella società che opera nella regione kurda dell’Iraq scatenando la ritorsione del potente suocero del ministro dell’Energia, in palese conflitto di interessi.
Nel corso del processo la reporter a piede libero, Derya Okatan, non ha esitato ad accusare il governo di voler nascondere con il processo “atti illegittimi, illegali e contro l’interesse pubblico”.
Molto prima della divulgazione delle mail la notizia del legame tra il marito della figlia di Erdogan e la PowerTrans era stata già diffusa dalla stampa quando era stato concesso uno status speciale alla società.
Proprio a fronte di questo aspetto i difensori dei sei giornalisti hanno evidenziato come l’arresto sia stata una misura eccessiva.
Gli avvocati hanno anche rimarcato la mancanza dei ”forti sospetti di reato’ che giustificassero la prosecuzione della detenzione.
Al termine delle arringhe dei difensori e la testimonianza degli stessi imputati la Corte ha disposto il rilascio di Celik e il rinvio del processo al 6 dicembre.
Nel frattempo un’altra notizia, seppure attesa e anticipata attraverso il nostro sito, ovvero l’annuncio delle dimissioni del sindaco di Ankara, ha suscitato forte preoccupazione negli osservatori internazionali dopo l’arresto dell’imprenditore e filantropo turco Osman Kavala, esponente di punta della società civile arrestato la scorsa settimana a Istanbul.
Kavala è indagato nell’ambito di un’inchiesta sul tentativo di colpo di stato del luglio 2016.
Questa indagine – che ha preso inoltre di mira Metin Topuz, un dipendente del consolato americano a Istanbul arrestato a ottobre – verte sul tentato colpo di stato del 15 luglio 2016 ma anche su uno scandalo di corruzione scoppiata nel dicembre 2013 che aveva coinvolto persone vicine al presidente Erdogan oltre che ministri del suo governo.
Nato a Parigi, il co-fondatore di una delle più grandi case editrici turche, Iletisim Yayinlari, e presidente dell’ong Kultur Anadolu (Cultura Anatolia), è da tempo impegnato in un’azione che permetta di superare le differenze in seno alla società turca attraverso la cultura e le arti.
I contrasti con Erdogan e la minaccia di un possibile arresto sarebbero invece le motivazioni dietro la decisione di Melih Gokcek di lasciare la carica di primo cittadino della capitale.
Rieletto per la quarta volta sindaco nel 2014, Gokcek fa parte del partito di governo dai primi anni 2000 e ha annunciato le dimissioni dopo un lungo incontro con il presidente turco.
Altri quattro sindaci dell’Akp, incluso quello di Istanbul Kadir Topbas, erano stati ‘invitati’ a lasciare l’incarico da Erdogan nelle scorse settimane.
Dopo i repulisti che si sono abbattuti società civile, settore della pubblica amministrazione, dell’Istruzione e della stampa, il Sultano ha iniziato a fare pulizia all’interno del suo stesso partito. Ed è solo l’inizio.


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