I media francesi contro Marine Le Pen che “ostacola la libertà d’informare”. E si riaffaccia il negazionismo neofascista

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Mentre ci si avvia alla settimana cruciale per il ballottaggio alle Presidenziali francesi, secondo i sondaggi la sfida tra i due avversari si accende ulteriormente e si fa più incerto l’esito finale. La leader del Front National, Marine Le Pen, con la sua propaganda “vetero-comunista”, strizzando l’occhiolino alle parole d’ordine (“io sono contro l’oligarchia”) e agli strati sociali finora sensibili al richiamo di Mélenchon (il paladino della sinistra radicale con la sua “La France insoumise”, la Francia indomita), ha conquistato subito un paio di punti sullo sfidante centrista Emmanuel Macron. Quest’ultimo, pur essendo accreditato di maggiori chance per la conquista dell’Eliseo, sta risentendo di alcuni passi falsi commessi negli appuntamenti elettorali e, soprattutto, dell’indecisione di quella parte dell’opinione pubblica che in teoria dovrebbe schierarsi in suo favore.

Nonostante gli appelli a votarlo al secondo turno, domenica 7 maggio, esternati dai maggiori esponenti dei Repubblicani, dei Socialisti e dei Liberaldemocratici, stando alle interviste e ai sondaggi i rispettivi elettori propendono più per “l’infedeltà” o l’astensionismo e la scheda bianca. Specie gli elettori dell’indomito Mélenchon (il quale non ha dato nessuna indicazione di voto, come gli altri tre piccoli candidati “alternativi”) sembrano divisi in tre schieramenti: in maggioranza è per astenersi (al grido di “Ni Macron ni Le Pen”), altri sono per votare scheda bianca o, peggio, preferire l’ultranazionalista Le Pen, perché Macron e la leader del Front sarebbero la stessa faccia di una politica legata al “sistema”.

Il giovane centrista, allevato con discreta premura dal presidente uscente Hollande, il “Bébé” tanto coccolato dall’establishment imprenditoriale e finanziario, nonostante la sua campagna “anticasta”, insomma, rischia di veder erosa la sua maggioranza ipotetica, che sta diminuendo giorno dopo giorno dal 62%, accreditatogli alla fine del primo turno, all’attuale 58%. In questa parziale caduta di consensi, però, si è intromessa la “pagliuzza” del destino a frenare una probabile slavina elettorale.

Due in realtà le bucce di banana: la prima riguarda il presidente del partito della Le Pen nominato al suo posto; l’altra la censura da parte delle 33 redazioni dei maggiori media francesi di tutti gli orientamenti politici.

La Le Pen, nel tentativo estremo di far scomparire qualsiasi traccia del suo passato nostalgico della Repubblica collaborazionista di Vichy e della continuità ideale con suo padre Jean-Marie, fondatore del partito, aveva deciso pochi giorni fa di dimettersi dalla carica di presidente de FN e di far scomparire dai suoi manifesti qualsiasi riferimento partitico, proprio per proseguire nella campagna di occultamento della sua storia ideologica, cercando così di accaparrarsi quanti più consensi elettorali. Al suo posto aveva indicato Jean-François Jalkh, responsabile della campagna elettorale, eurodeputato, coinvolto con la Le Pen nello scandalo sui rimborsi illegali agli assistenti parlamentari. Ma per sua sfortuna, un giornalista del quotidiano cattolico “La Croix” ha scoperto il testo di una vecchia intervista rilasciata ad un ricercatore universitario nel 2000, nella quale l’esponente ultra della destra esponeva le sue tesi “negazioniste” circa l’uso delle camere a gas per lo sterminio degli ebrei nei lager nazisti, oltre a schierarsi apertamente a favore delle tesi revisioniste dello storico neofascista Robert Faurisson, condannato più volte proprio perché aveva contestato “i crimini contro l’umanità” commessi con l’Olocausto.

Non appena, travolto dallo scandalo, il suo protetto si è visto costretto a dimettersi nel breve volgere di tre giorni, ecco che è arrivata un’altra tegola sulla testa della Le Pen. Questa volta però ben più difficile da scansare con maestria da politicante navigata.

Si tratta, come denuncia il diffuso quotidiano di centro-destra Le Figaro, del “braccio di ferro permanente tra il FN e i media” dovuto alla decisione del partito xenofobo ed euroscettico di voler “scegliere i giornalisti autorizzati a seguire Marine Le Pen”, e così, gli fa eco l’altro giornale pomeridiano, l’autorevole Le Monde, di fatto “si ostacola la libertà di fare il nostro mestiere e di compiere il nostro dovere d’informare”.

I sindacati dei giornalisti e i comitati di redazione di 33 testate (tra cui l’AFP, la BFM-TV,  Les Echos, Elle, Europe 1, Le Figaro, France 2, la redazione nazionale di France 3, France 24, TF1, France Culture, France Info, France Inter, L’Humanité, Libération, Journal du Dimanche, M6, Mediapart, Le Monde, L’Observateur, Le Point, RFI, RMC, RTL) hanno sottoscritto un documento di dura condanna, stigmatizzando il comportamento censorio del FN, in quanto “nessuna formazione politica di qualsiasi orientamento si può arrogare il diritto di decidere i media abilitati ad esercitare il loro ruolo democratico nella nostra società”.

Secondo la denuncia, il FN avrebbe persino stilato una “lista nera di indesiderabili”, che non possono presenziare alle manifestazioni pubbliche della Le Pen. Alcune giornaliste hanno addirittura ricevuto pressioni tali da essere state emarginate dal seguire la campagna elettorale; mentre altri sono stati minacciati “più o meno direttamente di eventuali licenziamenti”. Ormai, in quasi tutti gli eventi pubblici i servizi d’ordine mettono alla porta le équipe giornalistiche, obbligandole a lavorare solo con un pool.

Infine, sempre secondo i sindacati dei media, si starebbero moltiplicando “altre forme di pressione più insidiose: come la “sorveglianza militante” dei giornalisti sui social net da parte di persone pagate dal partito della Le Pen”.


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