Giuseppe Dossetti e il senso della Costituzione

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Vent’anni dalla scomparsa di don Giuseppe Dossetti, padre e ispiratore fecondo di una certa idea di cattolicesimo democratico che, con l’andar del tempo, si è sempre più sbiadita, fino quasi a esaurirsi, specie dopo la scomparsa di Leopoldo Elia, avvenuta nel 2008, e che oggi vive, tuttavia, ai massimi livelli istituzionali grazie alla saggezza e alla profondità di pensiero e d’analisi del presidente Mattarella.
Vent’anni senza un uomo che seppe essere grande tanto nella vittoria quanto nella sconfitta, battagliero e rispettoso al tempo stesso, in grado di concepire la politica non solo come un servizio, frase viepiù abusata, fin quasi a diventare stucchevole, ma proprio come un dovere morale e civico di ogni cittadino.
Vent’anni e ritornano in mente i suoi insegnamenti, la sua lezione etica, il suo profilo e quell’idea, antica e modernissima, che la politica debba germogliare nel grembo della società, nell’animo di ciascuno di noi, nei nostri sogni, nelle nostre speranze, nella pienezza dei nostri valori e delle nostre azioni, riprendendo il concetto socratico della maieutica e trasferendosi poi, in base al principio della rappresentanza, nell’ambito delle istituzioni repubblicane.
Vent’anni e il pensiero che corre a quella classe dirigente irripetibile, a quei “professorini” che resero straordinaria l’Assemblea Costituente, a quel fertile dibattito, pubblico e privato, fra lo stesso Dossetti, La Pira, Moro, Fanfani e Lazzati, a quella visione umana della società, improntata ai princìpi del rispetto per la persona e per la sua dignità, che ebbe nel Codice di Camaldoli del ’43 il proprio apice culturale e nella sua applicazione pratica nell’immediato dopoguerra il proprio apice politico.
Vent’anni e un addio che ci dà l’idea di cosa abbiamo perso in questi due decenni, di quanto patrimonio storico e vitale stia venendo meno e di quanto sia pericoloso per le nuove generazioni questo oblio, come se qualcuno si fosse improvvisamente illuso di poter vivere senza storia, senza memoria, senza padri e senza un’ispirazione, una guida, un punto di riferimento.
Vent’anni per dire grazie a un uomo che non ha mai rinnegato la Resistenza e le sue battaglie di gioventù, che è rimasto fedele ai propri ideali e che, una volta terminata la propria attività politica, ha trovato nella fede un rifugio e una nuova sfida, non meno affascinante della prima, non meno ricca di spunti di riflessione, non meno volta al bene comune, tanto da diventare uno dei principali ispiratori del Concilio Vaticano II.

Diciamo che, per inquadrare Dossetti, dobbiamo aver presenti due figure mirabili del nostro panorama cattolico e spirituale: il cardinal Martini e padre Turoldo. Dossetti si colloca a metà fra i due, con la bussola della comunità e l’amore per la Terrasanta del primo e la passione e l’impegno politico del secondo, dopo aver conosciuto, da ragazzo, la barbarie della dittatura e delle stragi nazi-fasciste del ’44, le quali lo indussero, al rientro in Italia, a dar vita a una comunità monastica situata a Monte Sole, proprio nell’epicentro degli eccidi.
Il partigiano Dossetti, che tale rimase nel corso dell’intera vita, pronto a rompere un silenzio che durava ormai da molti anni quando, nel ’94, vide la Costituzione messa in discussione e sotto attacco dall’avvento del berlusconismo, regalandoci un insegnamento che faremmo bene, soprattutto noi giovani, a tenere sempre a mente: “Ora la mia preoccupazione fondamentale è che si addivenga a referendum, abilmente manipolati, con più proposte congiunte, alcune accettabili e altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media, non possa saper distinguere e finisca col dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore: il che appunto trasformerebbe un mezzo di cosiddetta democrazia diretta in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito”.

Non è certo nostra intenzione trascinare Dossetti in una contesa referendaria che, fortunatamente, ci siamo lasciati alle spalle lo scorso 4 dicembre, benché le tossine di questa battaglia estenuante e senza esclusione di colpi continuino purtroppo a farsi sentire, tuttavia una cosa è certa: molti di noi, nel compiere la propria scelta, hanno tenuto ben presente lo spirito di Oliveto di Monteveglio e il significato intrinseco di queste riflessioni.
Perché non c’è figura che incarni più di Dossetti il senso della Costituzione, nell’attualità sorprendente di un uomo del secolo scorso che continua a parlare anche alle nuove generazioni, a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, a chi ha potuto soltanto leggere i suoi scritti eppure lo sente vicino, come testimonianza ed esempio di ciò che avrebbe potuto essere e purtroppo non è stato, di ciò che dovrebbe essere e purtroppo non è ancora.
Vent’anni e un vuoto incolmabile, eppure, rileggendo la sua biografia, ti vien voglia di amare la politica, di dimenticare come è stata ridotta e di riscoprirne l’infinita bellezza. E allora comprendi l’immortalità di un idealista che non si è mai arreso.


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