Storia di Giulia che ci ha educate alla sessualità

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Un libro collettivo racconta le donne nella Grande guerra e come hanno colmato il vuoto lasciato dagli uomini di [Marta Boneschi]
Eccole le madri. Che fatica disseppellirle dai luoghi comuni e dalla veloce dimenticanza. Un libro collettivo – “Donne nella grande guerra” (il Mulino) – ce le ricorda, toglie la polvere, racconta storie bellissime di cui andare orgogliose, anzi di cui andare orgogliosi tutti gli italiani di qualunque genere siano. La prefazione di Dacia Maraini non è una cosa giustapposta, perché le autrici fanno tutte parte del gruppo Controparola, fondato nel 1992 proprio dalla scrittrice e ora già al quarto volume. Vogliamo citarle tutte e poi sceglierne una, la prima: Boneschi, Cioni, Doni, Galimberti, Levi, Palieri, di San Marzano, Sancin, Serri, Tagliaventi F e S. Come sempre quando gli uomini si fanno da parte perché impegnati a farsi la guerra, il soccorso ed il vuoto vengono riempiti dalle donne: crocerossine, facchine, prostitute (sul campo) e tramviere, maestre, postine… Fra di loro alcune figure eroiche o controcorrente: davvero le madri di tutte le donne che poi, in pace e nella successiva guerra e infine ancora in pace, sino all’impegno della Costituente, avrebbero fatto di questo Paese un luogo un po’ meno gretto e misogino. Un po’. Marta Boneschi, giornalista che da anni si è dedicata alla ricerca storicosociale pubblicando saggi di successo, ci racconta una delle quattro biografie milanesi su cui ha lavorato, premettendo qualche sua riflessione.

di Marta Boneschi
“. Sono le madri della nostra coscienza civile, educatrici alla libertà. Sono loro che hanno rovesciato il dettato fascista, quello che imponeva le massaie rurali, le madri prolifiche, le signorine grandi firme. Hanno invece adottato e praticato l’equivalenza, una definizione cara a Anna Kuliscioff. Oppure, se preferite, hanno difeso e imposto la parità tra uomini e donne. A Milano, in Lombardia, donne di questo stampo erano numerose, anche se venute da lontano, perché Milano di solito attira e accoglie i talenti e ne ha accolti e liberati tanti proprio alla fine della guerra, proprio quando era mezza distrutta, vicina alla fame, ma piena di una volontà di ricominciare meglio di prima. A Milano inoltre c’è una antica tradizione, una lunga genealogia di patriote, filantrope, professioniste e pioniere, che hanno operato dall’epoca napoleonica attraverso il Risorgimento, nel turbine della rivoluzione industriale e nei rivolgimenti del primo Novecento. . Tra le tante combattenti ignote, che sono state capaci di lasciare un segno della loro operosità e intelligenza, ne racconto in breve quattro donne. È poco più di una segnalazione, un indizio per la memoria, ma è certo che queste quattro donne sono state madri di una coscienza civile che con la mia generazione ha raggiunto – almeno sulla carta – la pienezza dei diritti e dei doveri, il principio e la pratica della libertà. Queste quattro amiche – le ho conosciute tutte e quattro- hanno impartito una lezione di cittadinanza. Spero che questo patrimonio immateriale che ci hanno trasmesso non vada perduto”. (Sono Elena Dreher Fischli, Lavinia Sacerdote Mondolfo, Giulia Filippetti Gentili, Ada Franellich)
Giulia Filippetti Gentili Figlia di Angelo Filippetti, ultimo sindaco socialista di Milano prima della dittatura fascista. I genitori di Giulia, coerenti con le idee libertarie che professavano, non erano sposati, ma liberamente uniti, come si usava dire a quell’epoca (si sposeranno più tardi) e in un clima libertario, solidale e naturalmente antifascista cresce la bambina. Adulta, sposa Dino Gentili, un uomo d’affari geniale, incarcerato e successivamente costretto all’esilio negli anni Trenta. Rimasta in Italia, lei alleva i due figli Nicoletta e Luca (in pericolo perché figli di un ebreo), con i quali ripara in Svizzera durante la guerra.
Nel dopoguerra a Milano Giulia riprende in mano in modo creativo e moderno la questione demografica che aveva tanto turbato i nostri avi ottocenteschi, perché intrecciava aspetti sessuali, per loro decisamente inquietanti e indicibili, e aspetti sociali. Giulia sa che occorre dissipare paura e ignoranza e rompere la solitudine delle donne davanti a un problema che è tipicamente femminile e che tuttavia non hanno il potere di controllare. Nel 1953 in contatto con la IPPF (International Parenthood Planning Federation) fonda l’AIED (Associazione italiana per l’educazione demografica) allo scopo di «diffondere il concetto e il costume, già da tempo accettato nei paesi più progrediti, della procreazione volontaria e consapevole; promuovere l’abolizione della legislazione tuttora in vigore, diretta ad incrementare le nascite, e in particolare l’abolizione dell’articolo 553 del Codice penale in base al quale può essere incriminato chiunque pubblicamente sostenga la necessità di una giusta regolazione delle nascite». Il fascismo teneva alla difesa della stirpe, sanzionando pesantemente la contraccezione l’aborto, Giulia punta a difendere la famiglia, e nello stesso tempo curare piaghe aperte come quella dei nati illegittimi, l’infanticidio, l’aborto che definisce una “criminosa forma di controllo demografico”.
Nella società clericale di allora è capace di costruire una rete di alleanze, non accetta scontri frontali e si scava spazi di azione positiva. Capisce che negli anni Sessanta la contraccezione non è più soltanto una necessità delle famiglie povere, ma di tutte le donne, dalle adolescenti alle madri di famiglia e osserva: «Occorreva aiutare i giovani che si trovavano di fronte a problemi e difficoltà impensate e insieme aiutare le loro famiglie, quasi sempre impreparate ad affrontare le nuove realtà di una società e di costumi in rapidissima evoluzione».
Nel 1972 fonda il CEMP (Centro per l’educazione matrimoniale e prematrimoniale), del quale il magistrato Luigi Bianchi d’Espinosa, uno dei suoi convinti sostenitori, sottolineava la neccessità dicendo: «Nessuno dei problemi è stato risolto in modo da dare alla famiglia italiana una struttura moderna, conforme alle esigenze della società attuale». Bisogna offrire informazione e assistenza, e perciò Giulia promuove l’istituzione dei consultori, un traguardo raggiunto con la legge del 1975 da lei fortemente appoggiata. Non si lascia fermare dai pregiudizi, riesce perfino a farsi finanziare da una fabbrica di profilattici. Fa la spola tra Milano e Roma per perorare le sue cause in Parlamento e nel governo. È una donna che non si lascia scoraggiare, anche se cammina sul filo del rasoio, facilmente accusata di diffondere comportamenti immorali. Niente è più morale della sua azione e infatti negli anni Settanta deplora la tolleranza verso la diffusione della pornografia mentre non è tollerata l’educazione sessuale a scuola. Uno dei suoi alleati, il pediatra Marcello Bernardi, osserva che Giulia «crede nel miglioramento della condizione umana» e non c’è dubbio che lei si sia enormemente data da fare per questo, per migliorare la condizione umana attraverso il controllo delle nascite e grazie a un comportamento consapevole nella vita intima.


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