Olimpiadi addio?

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Il tempo delle Olimpiadi si sta esaurendo? Nate poco più di un secolo fa, dal sogno pedagogico e cosmopolita del barone Pierre de Coubertin, rischiano di essere usurate da una crisi di gigantismo. Il “no” della sindaca Raggi a Roma 2024 potrebbe essere il sigillo a questa crisi. Eppure quel “no” è stato al tempo stesso giustificato, ideologico, affrettato e maleducato. Giustificato perché sono troppo numerosi, ormai, gli esempi di una gestione fallimentare dei Giochi, come quelli di Atene del 2004, che contribuirono alla bancarotta della Grecia. Ma il “no” della sindaca Raggi, è stato ideologico, affrettato e maleducato perché si è fermato alla superficie del problema, non ha ascoltato ragioni diverse e forse più articolate, ha sbattuto più volte la porta in faccia a chi meritava un confronto un po’ più dialettico e rispettoso.

La crisi del sogno olimpico, storicamente -anche se pochi se ne ricordano- è iniziata con la trionfale Olimpiade di Berlino nel 1936, voluta da Hitler, raccontata stupendamente da Leni Riefenstahl, illuminata dall’amicizia tra il “nero” Jesse Owens e “l’ariano” Luz Long, avversari fraterni fino alla morte. Berlino fu la prima Olimpiade di regime, costruita per affermare la superiorità tedesca, anche se ci fu una leggera e temporanea attenuazione delle leggi razziali. Da quel momento la politica si è impadronita dei Giochi olimpici. I regimi autoritari, da Mosca nel 1980 a Pechino nel 2008, hanno utilizzato l’Olimpiade per mostrare tutta la loro potenza. Anche le democrazie non sono state da meno, grazie alla complicità di sponsor globali, come la Coca Cola, che ha scippato i Giochi del centenario ad Atene per Atlanta nel 1996. Il trionfo dei Giochi olimpici è stato sancito dalla televisione, prima in bianco e nero, quando ha raccontato il miracolo economico italiano a Roma nel 1960, poi a colori, quando ha mostrato in diretta, forza e fatica, successo e sconfitta, muscoli e lacrime, di gioia e di dolore. Questo immane spettacolo globale ha innescato appetiti mostruosi. Quasi tutti, con rare eccezioni, hanno considerato i Giochi olimpici come una vetrina da agghindare senza badare a spese. Soldi, politica, televisione, doping sembrano diventati i veri cardini delle Olimpiadi postmoderne, sempre più gigantesche, costose e in parte corrotte. Ha ragione, allora, la sindaca Raggi, che non ascolta le opinioni diverse dalle sue e fa fatica a sviluppare un periodo compiuto con frasi principali, coordinate e subordinate? Solo in parte.

L’Olimpiade non è solo soldi, politica, televisione e doping. Certo, i boiardi del CIO sono potenti e viziati, ma Olimpiadi e Paralimpiadi sono un sogno per milioni di giovani che sperano, un giorno, di poter partecipare e forse addirittura vincere. Solo qualcuno ci riesce, ma il sogno rimane, moltiplicato per milioni di vite, e quasi tutti, lungo il percorso, imparano che non ci sono risultati senza fatica, che bisogna rispettare e spesso copiare ed ammirare gli avversari per potersi migliorare, che se non si rispettano le regole, vincere è tanto diabolico quanto inutile. Quando si pensa, si parla e si decide sulle Olimpiadi non c’è solo la voracità –da tenere a bada- dei palazzinari, ma esiste una dimensione educativa ed etica alla quale non si può rinunciare. Le Olimpiadi devono cambiare, possono diventare diffuse e sostenibili. Questa sarebbe stata la sfida per la sindaca Raggi, che invece ha deciso senza ascoltare. La sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, era contraria, ma ha ascoltato, ha fatto fare calcoli e progetti e alla fine ha cambiato idea ed ha accettato la sfida perché si possono ristrutturare vecchi impianti, rammendare e collegare le periferie e poi, soprattutto, Olimpiadi e Paralimpiadi si possono condividere. Alla fine, forse, milioni di giovani, come Bebe Vio, potranno sorridere e sognare a Parigi i loro “momenti di gloria”.

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