Agcom, evviva don Abbondio

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Al confronto don Abbondio degli “impedimenti dirimenti” appare abile e deciso come Harrison Ford dell’Arca perduta, coraggiosissimo come Tom Cruise nelle sue missioni impossibili, sagace e intuitivo come il tenente Colombo. Invincibile come James Bond. Non è esagerato, se il paragone è fatto con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In un recente comunicato stampa, in merito alle proteste per l’eccedenza del tempo concesso dalle diverse emittenti a governo e partito di maggioranza (attorno al 40/50%, meditate esponenti del pd che protestate contro Ballarò), l’Agcom “non ha riscontrato particolari criticità nell’analisi dei dati relativi all’intero periodo (9-22 maggio, ndr)”. Con ugual piglio gladiatorio, a proposito di referendum, si aggiunge che “Il consiglio ha raccomandato…di continuare ad assicurare la corretta applicazione dei principi generali a tutela del pluralismo…”. Comicità surreale. Come è visibile ad occhio nudo sui referendum –silenzio assoluto sulla raccolta di firme in corso per abrogare ltalicum, Jobs act, scuola ambiente; vera e propria “guerriglia semiologica” su quello costituzionale- si sta determinando un vero e proprio strappo. Referendum oscurati o travolti dalla quotidiana propaganda per il Sì: senza contraddittorio. Il tutto, poi, in presenza di una campagna elettorale amministrativa che ricade pienamente nella disciplina sulla par condicio. Quest’ultima consta del corpo essenziale della legge 28 del 2000 e dei regolamenti applicativi susseguitisi nel tempo i quali irrobustiscono una giurisprudenza ormai costante. Che rende illecito il ricorso ai temi referendari per aggirare le disposizioni della legge 28, occupando spazi televisivi che non dovrebbero neppure prevedere presenze politiche. In base allo stesso regolamento varato lo scorso 13 aprile dalla Commissione parlamentare di vigilanza (commi 5 e 6 dell’articolo 4) in vista del turno comunale del 2016. E delibera omologa è stata emanata dall’Autorità (138/16/cons). A che servono i regolamenti se neppure coloro che li decidono li applicano? Insomma, mai come oggi si era determinata una sorta di illegalità di stato. Permessa e tollerata perché di stato, in nome di un obiettivo “alto”, vale a dire la distruzione dei “barbari” che osano criticare il “partito della nazione”. Tra l’altro, mentre la legge dei codici è sostituita dalla legge del più forte, in un provvedimento (prima firmataria Doris Lo Moro) ora al senato si aumentano le pene per i giornalisti in caso di diffamazione “ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario…”. Sembra un incubo. Per carità, togliete di mezzo questo comma, che inquina un testo segnato da un fine nobile, il “contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali”.
In base alle osservazioni svolte, lo stesso presidente della commissione di vigilanza Fico potrebbe ammettere di avere sbagliato bersaglio nella polemica con Il Manifesto contenuta in un suo articolo di giovedì 26 maggio. Con quali norme e con quali atti, si chiedeva. Si è fornito qualche spunto. Visto che sui referendum c’è uguale sensibilità, perché non proporre un atto di indirizzo, cui il servizio pubblico si attenga scrupolosamente?
Così, cari signori dell’Agcom, come mai non utilizzate il ruolo che la legge istitutiva vi conferisce? Ad esempio, con una segnalazione sul caos in corso rivolta ai presidenti di Camera e Senato, per un’azione ispettiva forte. E sanzioni no?Insomma, fate qualcosa di sinistra. O, meglio, fate qualcosa.


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