Nuovo attentato all’imprenditore Tiberio Bentivoglio. Con “Libera” ha sempre denunciato il racket  a Reggio Calabria

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Si chiama Sanitaria Sant’Elia ed è  l’azienda di proprietà di Tiberio Bentivoglio, l’imprenditore che da quasi 25anni si batte contro il racket a Reggio Calabria. La notte scorsa ha subito l’ennesimo attentato. Intorno alle 23.30 due depositi della Sanitaria hanno preso fuoco, distrutto tutto il materiale contenuto all’interno. Di origine dolosa, dicono gli inquirenti, del resto sarebbe stato difficile immaginare un’ipotesi diversa, perché Bentivoglio ne ha già vissuti molti di questi momenti, da quando, nel 1992, decise di non sottomettersi alle richieste estorsive dei clan delle ‘ndrine.

Da allora ha visto tanti locali aziendali prendere fuoco o  saltare in aria con milioni di danni subiti. Perché i  capi delle cosche agiscono così: prima cercano di metterti in ginocchio economicamente, causando danni patrimoniali, magari cercando anche di subentrare nell’attività; poi tentano di delegittimare l’impresa, facendo capire che non è cosa buona e giusta rifornirsi presso tale azienda; infine attraverso l’eliminazione fisica. Tre fasi che l’imprenditore Bentivoglio  ha vissuto direttamente, con l’ultima di queste tre fortunatamente non andata a buon fine.

Era il febbraio del 2011, esattamente cinque anni fa, mentre all’alba si trovava in un terreno di sua proprietà qualcuno gli sparò alle spalle. Solo per miracolo il proiettile diretto alla schiena venne deviato dalla cintura, mentre un secondo colpo lo centrò ad una gamba. Da allora vive sotto scorta, e comunque non ha mai smesso di denunciare il racket. Lo ha fatto e continua a farlo a fianco dell’associazione Libera di Don Ciotti, nelle piazze e nelle scuole, per far capire che è un dovere sociale ribellarsi e non sottomettersi alla più potente organizzazione criminale e in particolare che lo Stato deve riappropriarsi di quei territori, facendo sentire la sua presenza soprattutto attraverso le istituzioni.

Tuttavia Bentivoglio si è sempre battuto contro un nemico più forte delle ‘ndrine, cioè la rassegnazione. “Se prevarrà – ha sempre fatto capire – in quel momento subiremo una sconfitta definitiva”. L’appello è che lo Stato possa sostenerlo, così come previsto dalla legge, senza ritardi, come è avvenuto fino ad ora. Anche se gli è stato assegnato un locale nel centro cittadino di Reggio, confiscato alle cosche, lui stesso lo ha denunciato ai microfoni della Tgr Rai, “resistere e  ripartire è stato sempre il mio motto – ha detto – ma se gli aiuti arriveranno in ritardo sarà difficile continuare”.

Oggi pomeriggio in prefettura si è tenuta una riunione per l’ordine e la sicurezza pubblica ed è stata anche annunciata una manifestazione di solidarietà per Tiberio e la sua famiglia. E’ importante chiedere anche per lui, ciò che abbiamo sempre chiesto ogni qualvolta si sono presentati casi di minacce a giornalisti o testimoni di giustizia: una scorta mediatica, tenere sempre accesi i riflettori sul caso. Per non lasciarli soli, per non lasciare solo Tiberio, affinché la sua battaglia diventi anche la nostra.


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