“Conoscere la vita attraverso la narrazione”. Intervista a Dacia Maraini

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Come tutti i grandi narratori Dacia Maraini ama scompaginare le carte e cambiare il punto di vista attraverso il quale osservare il mondo. Così dopo Chiara d’Assisi ecco il suo nuovo romanzo, la bambina e il sognatore ( Rizzoli Editore), attraversare mondi in apparenza completamente differenti. Questa volta protagonista è un uomo, Nani Sapienza, un maestro elementare dalla profonda umanità provato pesantemente dalla vita eppure sorretto da un grande amore verso i suoi alunni e dalla sua straordinaria capacità di conquistare il loro interesse attraverso la forza evocativa delle storie. Sarà la forza profetica ed insieme lucida visione del sogno, nella forma di una bambina misteriosamente scomparsa che lui continuerà a cercare a dispetto di tutte le apparenze, ad indicargli la via per resistere e per tentare di diradare quella nebbia che sembra avvolgere ormai senza speranza la sua esistenza.
Del suo libro e dei molti ed attualissimi temi che contiene parliamo con Dacia che rimane una delle scrittrici italiane più lette al mondo.

Dacia Maraini, tantissimi sono i temi e le suggestioni del suo romanzo la bambina e il sognatore. Uno tuttavia mi sembra centrale: è il desiderio di paternità del protagonista Nani che affiora nel rapporto esclusivo che aveva con sua figlia Martina prima della sua morte, riemergendo poi nella tensione che guida la sua ricerca di Lucia e nel sentimento che è in qualche modo sublimato nel rapporto instaurato con i suoi alunni;
Sì il desiderio di paternità è il tema centrale. Per me è un desiderio rimosso e spesso censurato in nome di una virilità convenzionale. Credo che invece negli uomini sia molto presente ed è un peccato che venga rimosso. E’ un sentimento che considero poetico e molto tenero. Ma per educazione gli uomini credono di dovere fuggire la tenerezza e si auto mutilano.

Elemento centrale per delineare il personaggio di Nani è anche il suo mestiere di maestro, una funzione quella dell’insegnante che rimane insostituibile per definire il rapporto dei bambini verso il mondo che li circonda. Il metodo didattico di Nani si fonda sulla narrazione, sull’universo delle storie. Quanto è importante secondo lei la dimensione del racconto per la crescita dei ragazzi?
Io l’ho capito frequentando le scuole, dove mi invitano spesso a parlare coi ragazzi. Ho visto che quando racconto una storia, la loro attenzione si fa più accesa. Credo che tutti abbiamo bisogno di narrazione. E’ un modo di conoscere la vita, di fare agire l’immaginazione, che considero il nostro più potente motore.

Ad un certo punto nelle fasi delle indagini collegate alla scomparsa della piccola Lucia, lei sviluppa nel libro situazioni e moduli narrativi legati in qualche modo al noir ed al giallo. Come ha interpretato questo genere letterario?
Più che il giallo mi interessano le persone che scompaiono. Ne parliamo poco, ma dovremmo essere molto preoccupati perché centinaia di persone scompaiono ogni anno. Alcune si ritrovano ma molte non si trovano mai. A volte si scopre il loro cadavere, alle volte niente. Il mistero non viene risolto. C’è qualcosa di terribile e di inquietante in queste perdite collettive. Un bambino o anche un adulto che scompare infatti non riguarda solo la famiglia da cui viene, ma tutta la comunità che lo o la circonda.

Nel decidere il soggetto del suo libro, è stata in qualche modo influenzata dalla cronaca, c’è stata qualche vicenda di sparizioni di bambini che l’ ha colpita in modo particolare?
Beh sì, leggo continuamente di bambini che scompaiono. Guardo quella bella trasmissione che si chiama Chi l’ha visto e ogni volta mi stupisco di quanto poca importanza diamo a queste sparizioni. La vicenda che mi ha più colpito comunque è stata la storia delle due bambine che sono state fatte esplodere. Qualcuno le aveva imbottite di tritolo e poi le ha mandate in mezzo alla folla a farsi esplodere. Poi hanno detto che loro stesse avevano voluto farlo. Ma io non credo che una bambina di 8 anni possa veramente decidere di morire come kamikaze. Il terrorismo ha qualcosa di orribile e molto inquietante: capovolge drasticamente i valori in cui crediamo, come il rispetto, la gentilezza, l’amore, la gioia di vivere . Quando si pone come massimo fine l’odio e la distruzione, tutto è permesso e non c’è pietà per nessuno. La religione non c’entra naturalmente, è solo un pretesto. Il guaio è che molti giovani si innamorano di questo nichilismo assoluto e vanno incontro alla morte come se fosse una bellissima conquista.

Quale funzione assegna nel libro al sogno? Quella di un altrove necessario per comprendere fino in fondo la vita delle persone?
Considero i sogni la metafora di una sapienza remota. A volte ci dicono delle cose che non vogliamo sapere. Non sempre i sogni sono facili da interpretare perché usano un linguaggio simbolico e astruso, ma certamente ci dicono delle cose che possono risultare profetiche.


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