Cronaca di fine anno

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Nella conferenza stampa di fine d’anno il premier non ha approfondito i temi della comunicazione, se non di rincalzo alle amare considerazioni del presidente dell’Ordine dei giornalisti Iacopino: sul precariato e lo sfruttamento intellettuale diffusa, sulla disapplicazione della legge sull’equo compenso, sui danni della vecchia norma sulla diffamazione. Sulla Rai. Ma generico e fuggevole proprio sui drammi del lavoro nell’informazione. Il resto zero. Come se proprio il cuore della velocità innovativa –fiore all’occhiello di Renzi- poco avesse a che fare con i luoghi reali in cui il futuro è adesso. Non domani. E il silenzio in tal caso non è per niente d’oro. L’Italia rimane al penultimo posto in Europa sulla banda larga (e ultralarga) e sulla governance della Rai –ora sotto l’egida del potere esecutivo- è persino al di fuori delle culture del servizio pubblico del Trattato di Amsterdam. Non solo. La storica azienda di bandiera delle telecomunicazioni è entrata in terra francese con il tycoon Bolloré, dopo aver parlato spagnolo a lungo; e non si vede ancora una strategia generale, mentre i big data incombono in tutto il mondo evoluto. Insomma, l’Italia è da seconda serie e tuttora si paga la scelta disastrosa di aver puntato gran parte delle carte sulla vecchia televisione generalista. Fu l’essenza del berlusconismo, niente affatto defunto. Al punto che Mondadori si è mangiata Rcs-Rizzoli, e Mediaset ha fatto shopping nella radiofonia di cui controlla direttamente o indirettamente quasi un terzo. Il “patto del Nazareno” ha offerto una cornice assai vicina a quella del ventennio dell’ex cavaliere. In sintesi, il file della rivoluzione tecnologica è bianco. Nel caso della Rai il flash back è di quarant’anni. Nel frattempo il Fondo dell’editoria è bloccato e il minestrone della legge di stabilità non ha trovato il modo di far respirare le testate interessate. Quelle ancora aperte, visto che diverse hanno chiuso i battenti. Renzi e il sottosegretario Lotti lo sanno? La conclamata riforma dell’editoria è ancora in discussione, posto che sia risolutiva.
Un resoconto dell’anno passato parte da qui e non sarà un caso se palazzo Chigi tenda a stendere un velo, ben guardandosi di enumerare tra i successi le pagine che riguardano i media. Del resto, vi sono veri e propri buchi neri: le censure, i licenziamenti in blocco, le minacce a chi opera con coraggio svelando gli arcani della criminalità organizzata e dei numerosi irrisolti misteri italiani. L’informazione è un diritto e un dovere sempre più difficile da esercitarsi. E’ un conflitto aperto per tutelare l’articolo 21 della Costituzione e le libertà. E raccontare le cose senza condizionamenti non è certo un mestiere da privilegiati. Ci si pensi quando si parla di limitare lo strumento delle intercettazioni, ad esempio. O laddove non si ponga freno alla moda delle querele temerarie, tese a condizionare una categoria impoverita e limitata nella sua autonomia. Non c’è solo la questione dell’ordine professionale.
Il cenone di fine anno per la comunicazione è molto scarno, con molti segni “meno” e con un bel po’ di veleno. Usciremo dal “MediaEvo”?
PS. Sulla legge appena varata sulla Rai, l’attenzione già scarsa rischia di eclissarsi definitivamente. Guai, anche perché il 2016 sarà l’anno della verità sulla nuova convenzione tra lo stato e l’azienda pubblica. Quando e come inizierà la consultazione aperta pur prevista dal testo? Diverse associazioni non vogliono mollare la presa e guardano alla sensibilità delle più alte cariche istituzionali.


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