Papa in Africa nonostante rischio attentati per illuminare le periferie del mondo

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Papa Francesco dal 25 al 30 novembre, nonostante il rischio paventato dall’intelligence francese di possibili attentati, sarà in Africa per un breve ma intenso viaggio che lo porterà in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. E proprio a quest’ultimo Stato, che vive una profondissima crisi umanitaria e politica, il Santo Padre ha inviato un video messaggio per illustrare lo scopo della sua visita.

Il Pontefice si è rivolto direttamente alla popolazione sottolineando che, oltre  a “portare nel nome di Gesù, il conforto della  consolazione e della speranza” ha scelto il continente nero, e in particolare il Centrafrica, per aprire in anticipo il Giubileo della Misericordia. Un atto importante che vede Papa Francesco impegnato ad ‘accendere i riflettori’ sulla difficile situazione del Paese che, come lui stesso ha evidenziato, è da troppo tempo in una spirale di violenza e d insicurezza “della quale molti sono vittime innocenti”. Vittime di cui si parla poco, soprattutto in una fase come quella che stiamo vivendo in cui i conflitti che interessano realtà geopoliticamente più importanti, e il susseguirsi di eventi drammatici in Europa come l’attacco a Parigi,  monopolizzano giustamente l’attenzione dei media.

Eppure la gravità di quanto stia avvenendo nella Repubblica Centrafricana è stata certificata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che nell’aprile del 2014 ha autorizzato il dispiegamento di una missione di peacekeeping.

La crisi attuale è scaturita da un golpe militare messo in atto dai ribelli Seleka il 24 marzo del 2013. La coalizione islamica, formata da gruppi armati non solo centrafricani, ha posto fine al regime del presidente François Bozizé, a sua volta autore di un colpo di stato un decennio prima, poi legittimato con elezioni riconosciute dalla comunità internazionale nel 2005.  Sotto la guida di Michel Djotodia, la nuova compagine al potere ha dato il via a un’atroce serie di violenze di estrema brutalità.

Le forze di interposizione presenti all’epoca nell’area su mandato dell’Unione africana non sono riuscite  a impedire il golpe tantomeno a evitare le aggressioni alla popolazione e alle presenze straniere, tra cui missionari e operatori sanitari. Ed è stato questo a spingere la Francia, che ha da sempre interessi nel Paese, a inviare propri militari per cercare di interrompere razzie e omicidi di massa che non hanno risparmiato donne e bambini.

Il numero di operatori internazionali uccisi, rapiti o feriti gravemente in Centrafrica ha raggiunto il livello più alto mai registrato nella sua storia post indipendenza.
La contrapposizione tra Seleka e Anti – Balaka, gruppi di animisti e cristiani che si sono coalizzati per frenare l’ascesa dei ribelli islamici, si è ben presto trasformata da disputa per la gestione del potere e delle risorse a scontro religioso. Dal 2014 è in atto una vera e propria guerra civile nel nome dell’Islam.

La situazione, dopo un apparente stallo con la nomina di un governo a interim guidato dalla presidente Catherine Samba Panza, è di nuovo precipitata quando è stata disciolta la milizia che aveva favorito il colpo di stato, di cui facevano parte criminali comuni e mercenari provenienti da Ciad e Sudan. Questi ultimi hanno dato vita a scorribande anche nei quartieri abitati in prevalenza da musulmani, che teoricamente l’Alleanza doveva rappresentare. A evidenziare che la fase di transizione fosse a rischio sono state le Nazioni Unite, che prima ancora di autorizzare una missione di pace, avevano minacciato sanzioni ottenendo la firma di un accordo tra le parti, controfirmato da Samba-Panza. Una sospensione delle ostilità che ha portato alla nomina di Mahamat Kamoun a capo del governo, il primo musulmano nella storia del Paese ad avere questo ruolo.

I ribelli, tuttavia, hanno immediatamente contestato la scelta, affermando di non sentirsi rappresentati.
Uno dei leader dell’organizzazione ha dichiarato di aver formato uno Stato indipendente nel Nord Ovest della regione. A Sud il controllo è invece in mano ai cristiani.
In contemporanea all’intervento Onu, l’Unione Europea ha deciso di attivare un’iniziativa politica e di assistenza umanitaria e allo sviluppo.

La missione, con base nella capitale Bangui, è stata istituita con l’obiettivo di creare un ambiente sicuro e consentire l’assistenza umanitaria ai civili. Tra i compiti dei militari Ue, garantire la mobilità delle forze impegnate sul campo, la bonifica di residuati bellici e la realizzazione di lavori infrastrutturali di base in favore della popolazione e del governo locale.
Nonostante questo attivismo, l’impressione è che la crisi della Repubblica Centrafricana non sia vicina a una soluzione e che si stia consumando tra una pulizia etnica sempre più capillare e l’avanzare dell’idea di dividere il paese lungo linee confessionali.
Insomma, ancora una volta, siamo costretti a registrare il fallimento dell’opera di assistenza internazionale che, pur con risorse e mezzi notevoli a disposizione, non riesce a fermare quello che appare ormai come un genocidio su binari paralleli, cristiani che cercano di ‘sterminare’ islamici e viceversa.


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